La notizia viene battuta da una sola agenzia senza alcuna enfasi: conferma la data delle «popolarie», tramite le quali Mdp, Si e Possibile dovrebbero votare «l’assemblea nazionale che costituirà la base elettorale della lista unica». Però non si tratterebbe di una consultazione come le altre ma dell’atto ufficiale di divorzio tra Mdp e il «poligamo» (parola sua) Giuliano Pisapia. Nico Stumpo si affretta a correggere, senza smentire del tutto: «Siamo impegnati a costruire un centrosinistra alternativo al Pd». Cosa vorrà mai dire resta misterioso: tanto da certificare un bel po’ di imbarazzo. Del resto dall’interno di Mdp arrivano invece conferme piene. La data è ovviamente ancora ipotetica. Il tragitto con Si, Civati e forse non solo con loro deve essere definito: ma l’obiettivo è quello ed è opposto al progetto dell’ex sindaco di Milano.

La decisione di convocare le popolarie, sommata alla posizione drastica di Roberto Speranza che ripete «il tempo è scaduto, non si può più aspettare», sembra siglare una rottura senza appello. Dall’interno di Mdp giurano che non è così, si dicono convinti che Pisapia alla fine si adeguerà alla linea. Che ci credano davvero è ben poco probabile. Trattasi piuttosto del vetusto gioco del cerino, che nella politica italiana non passa mai di moda. A pronunciare il fatidico «no» deve essere Pisapia. Il quale, a Roma per parlare d’ambiente, s’industria invece per non dire a nessuno, e in particolare al nuovo Renzi coalizionista, né sì né no: «Non basta dire cose di sinistra, bisogna farle», e poi «Bisogna essere discontinui con il passato senza vendere sogni».

Molto più esplicito il suo consigliere Bruno Tabacci, che considera la rottura già consumata a Ravenna, dove Mdp «ha deciso di andare da solo», e che boccia senza appello le «popolarie» perché «non esiste un’assemblea con quel ruolo». Ma soprattutto l’ex assessore di fiducia di Pisapia è ben più possibilista dei cugini scissi dal Pd sull’apertura di Renzi. Si dice «sorpreso», e intende piacevolmente sorpreso, dal fatto che tutto il partito abbia seguito senza un fiato il segretario nella sua sterzata coalizionista.

Certo, Campo progressista resta critico sul Rosatellum, anche se è proprio quella legge elettorale la chiave della conversione dell’ex paladino del partito maggioritario alle coalizioni. Ma lo critica con toni molto meno incandescenti di quelli di Mdp, che con Fornaro non esita a bollare la nuova legge come peggiore del Porcellum» e con D’Attorre assicura che «allontana il centrosinistra». Anche per la pattuglia dell’ex sindaco fanno problema le liste bloccate e l’assenza del voto disgiunto ma i più vicini a Pisapia ammettono che se ci fossero le primarie, che restano la loro richiesta principale, la strada per la coalizione sarebbe spianata.

Se passerà il Rosatellum è facile che quelle primarie, del resto un po’ assurde dal momento che non è previsto un leader unico di coalizione, Renzi le offra davvero. Se non sarà così, inventerà un’altra esca a misura di Pisapia. Come i renziani più vicini al capo ammettono senza perifrasi, infatti, l’«apertura» a sinistra del segretario era in realtà rivolta solo a Campo progressista. Una cosa è garantirsi una foglia di fico a sinistra, tutt’altra imbarcarsi di nuovo in un’impresa comune con gli ex oppositori all’interno del Pd, con Bersani e soprattutto con D’Alema.
Solo che Pisapia senza Mdp è un generale senza truppe. Ecco perché, nei corridoi della politica, continua a circolare la voce di un possibile accordo tra i radicali di Emma Bonino e l’ex sindaco.