Lavoro

L’idea di Pirani: «Diminuiamo gli orari e detassiamo le buste paga»

L’idea di Pirani: «Diminuiamo gli orari e detassiamo le buste paga»Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec Uil

Il segretario dei chimici, energia e tessili Uiltec Con turni più brevi puoi offrire perfino più servizi. Più che un «Partito della nazione» credo ci serva un «Patto per la nazione». Ma mi preoccupa l’afasia della Confindustria

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 8 aprile 2017

Per rilanciare l’economia italiana servono investimenti pubblici, salari più alti (tagliando le tasse), ma anche una riduzione degli orari di lavoro: per poter includere chi è disoccupato, i giovani precari che ingrossano le file dei nuovi poveri. La ricetta viene da Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec Uil (tessili, chimici, energia) che quasi alla fine di una lunga e difficile tornata contrattuale ne ha pure per la Confindustria – «è in un momento di afasia culturale» – il governo e il Pd: «Bisogna riprendere il rapporto con le persone, con chi lavora o è rimasto indietro».

Con Confindustria non dovreste confrontarvi per un nuovo modello contrattuale?

Non ce ne sono più le ragioni. Confindustria ha perso una grande occasione perché di fatto non ha mai presentato una sua proposta forte – prima di tutto direi culturale. Era partita già male, quando pensava di non doverli neanche rinnovare, i contratti, perché il governo Renzi aveva ipotizzato il salario minimo per legge. Idea di cui non si è più fatto nulla: ma intanto gli industriali sono rimasti in piena afasia, mentre le singole categorie comunque degli accordi hanno dovuto sottoscriverli perché le imprese chiedevano riferimenti e certezze.

Questi contratti vi soddisfano?

Ai nostri comparti, che raccolgono circa 1 milione di addetti, mancano solo gas acqua e calzature. Sugli altri, direi che abbiamo garantito insieme il contratto nazionale e il secondo livello, riuscendo a tutelare il potere di acquisto, a ottenere una parte di salario di produttività e allargando le protezioni del welfare. Rinnoviamo i premi di risultato in grossi gruppi come Enel, Eni e nelle aziende chimico-farmaceutiche. Più che sul modello contrattuale, che non ci serve più almeno per i prossimi tre anni, chiederei a Confindustria di confrontarci sull’innovazione.

In che senso?

Faccio un esempio concreto: di recente abbiamo chiuso un accordo sullo smart work in Enel, che parla di una organizzazione più moderna, vicina ai tempi delle persone. Ma quello che intendo è più generale: o ci rassegniamo alla graduale diminuzione dei posti di lavoro, dovuta al perfezionamento delle macchine e delle tecnologie, o pensiamo tutti insieme un nuovo modello di società. Per capirci: una stampante 3D sicuramente darà lavoro a nuove imprese artigiane, ma nel contempo sottrarrà posti alle grandi catene di montaggio. Diminuiamo gli orari di lavoro delle persone e aumentiamo quello delle attività di produzione e dei servizi, ovviamente facendo avvicendare più turni: non erogo più un servizio dalle 8 alle 13, ma per 18 ore, e se possibile andiamo tendenzialmente verso l’h24. Se nel contempo puntiamo anche sul rafforzamento dei salari, creeremo più sviluppo, lavoro, e io aggiungo anche più produttività.

Come dovrebbero aumentare i salari? Le imprese chiedono prima più produttività.

E qui sbagliano: in realtà si deve fare il ragionamento opposto. La produttività aumenta se aumentano gli investimenti e i salari, perché le persone possono comprare e vivere sempre meglio. E ricordiamo che il 75% della produzione italiana vive sulla domanda interna. In aggiunta ci vuole ovviamente anche il lato pubblico: il governo deve detassare il lavoro stabile e far costare di più quello non stabile.

Ma non lo ha già fatto con gli incentivi al Jobs Act? Venti miliardi che hanno prodotto pochi posti. Non ha fallito?

Gli incentivi hanno funzionato finché ci sono stati: io credo ci debba essere un sostegno strutturale al lavoro stabile. E non soltanto alle assunzioni: investiamo in politica industriale, perché questo trascina con sé gli investimenti privati, e diamo beneficio alle busta paga, riducendo il cuneo fiscale, così che possa ripartire la domanda interna.

Non avete paura che chiedendo un calo continuo delle tasse, e insieme ampliando gli spazi del welfare integrativo, i servizi pubblici diminuiscano? Come tuteliamo il numero sempre più alto di persone povere o che non hanno un contratto?

Ci interroghiamo continuamente su questi temi: ma appunto a mio parere la soluzione non sta nei sussidi – reddito di cittadinanza o di inserimento che sia – ma nel creare più lavoro.

E il Pd, il centro-sinistra, sanno individuare le risposte?

Qui risponderei con una battuta: più che un «Partito della nazione», ci serve un «Patto per la nazione». Riavvicinandoci, come dicevo, alle persone: e ridando spazio ai corpi intermedi, alla rappresentanza. Come era stato nel 1993. Per questo mi preoccupa l’afasia degli industriali.

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