Per firmare bisogna pagare. Tre euro per la firma digitale e altri tre (ma si trova anche a meno) per la marcatura temporale. I promotori degli ultimi referendum – quattro, tutti per cancellare il Green Pass – non hanno fatto a tempo ad attivare la piattaforma gratuita (per i cittadini, ma a carico dei promotori) dove per firmare basta la Spid, l’identità digitale. Si sono mossi tardi, tardissimo considerando che il termine legale per raccogliere 500mila firme è il 30 settembre. Hanno voluto aspettare fino all’ultimo decreto, anche se il ritardo nella pubblicazione di quello sull’obbligo per i lavoratori del privato ha tenuto fuori proprio la misura più contestata dagli abrogazionisti. Pazienza, restano quattro decreti (da aprile) da cancellare, secondo i promotori di questa nuova sortita referendaria che coglie al volo le opportunità spalancate dalla firma digitale. Sono un’avvocata del foro di Salerno, Olga Milanese da tempo attiva nella denuncia del meccanismo del Green Pass e due prof (di diritto internazionale e di filologia romanza), Luca Marini e Francesco Benozzo, recenti autori di Covid, prove tecniche di totalitarismo. Accanto a loro un «comitato di garanti» con Carlo Freccero e Ugo Mattei. Il loro è un tentativo quasi disperato.

È vero che la cavalcata trionfale del referendum cannabis – che da ieri è ufficialmente sopra la soglia delle 500mila firme – sollecita e illude. Ma per gli anti Green Pass la corsa alla firma digitale è ostacolata dalla procedura alla quale sono costretti. Il 30 settembre è dietro l’angolo. Anche se i promotori sperano che la Cassazione, alla quale toccherà verificare le sottoscrizioni, conceda fino al 30 ottobre applicando estensivamente la dilazione concessa a chi ha presentato i quesiti entro il 15 giugno (eutanasia, caccia e giustizia). Ma anche se per una congiunzione astrale questi referendum riuscissero ad approfittare dell’onda no vax in un pugno di giorni, resta lo scoglio della Corte costituzionale. Che dovrebbe giudicare sull’ammissibilità di tre referendum proposti su decreti non ancora convertiti al momento in cui sono stati depositati i quesiti (solo quello di aprile lo era). La legge che si vuole abrogare è già cambiata o cambierà quando i quesiti saranno giudicati. L’avvocata Milanese sostiene che abrogando il decreto originario cade anche la legge e la Cassazione potrebbe in teoria spostare il quesito dal decreto alle legge di conversione. Ma non è mai successo. Nel frattempo restano il gesto e la provocazione: con la nuova firma digitale e le vecchie regole il referendum può servire anche a questo