• Si è concluso il faccia a faccia tra i due ministri degli Esteri di Russia e Ucraina, Lavrov e Kuleba, officiato ieri dalla Turchia di Erdogan. È stato il primo confronto a così alti livelli istituzionali dall'inizio dell'invasione.
  • Nelle dichiarazioni successive al negoziato le posizioni di Russia e Ucraina restano sul terreno della reciproca recriminazione, con versioni diametralmente opposti rispetto al bombardamento dell'ospedale pediatrico di Mariupol. Zelenskyy ha incassato nuovi piani di sostegno economico e militare da parte di Usa e Ue e ulteriori sanzioni per la Russia.
  • Indiscrezioni riportano il viaggio a Mosca, a scopi di mediazione, di Gerhard Schröder. L'ex cancelliere tedesco oggi ai vertici del gigante petrolifero russo Rosneft, via Gazprom, incarna un'ennesima esigua speranza per i negoziati. Cresce intanto il numero delle vittime civili.

Nessun progresso sostanziale, niente cessate il fuoco, solo vaghe intese sul fronte umanitario e la volontà almeno di proseguire il dialogo, malgrado gli scetticismi incrociati. È tutto qui l’esito del faccia a faccia tra i due ministri degli Esteri di Russia e Ucraina, Lavrov e Kuleba, officiato ieri dalla Turchia di Erdogan – presente il ministro Cavusoglu – a Antalya. Un tavolo atteso, non essendoci stati confronti diretti a un così alto livello dall’inizio dell’invasione, sul quale certo aleggiavano gli strascichi sdegnati delle bombe sull’ospedale pediatrico di Mariupol del giorno prima.

IL BILANCIO di 17 feriti aggiornato ieri dalle autorità ucraine parla di 3 morti tra cui una bambina, Un atto definito «indegno», «barbaro», «disumano» a turno dai principali leader occidentali. Il presidente ucraino Zelensky in crescendo ha parlato di «atrocità», «crimine di guerra» e di «evidenza del fatto che è in atto un genocidio del popolo ucraino».
Nella conferenza stampa seguita al vertice di Antalya Lavrov ha ribadito la posizione già espressa dal Cremlino la sera precedente: la struttura era occupata da «forze ucraine radicali» e non c’erano pazienti al suo interno, è «una farsa» quella inscenata dalle autorità ucraine, «i nazionalisti usano i civili come ostaggi» eccetera, senza mai evocare direttamente quello che è il bersaglio nel bersaglio dell’offensiva russa sulla città, il Battaglione Azov qui di casa, con la galassia paramilitare che gli ruota intorno.

E DA UNA MARIUPOL SEMPRE PIÙ assediata, con le immagini satellitari che la mostrano martoriata dalle bombe, il vicesindaco Serhiy Orlov racconta alla Bbc come dall’inizio dell’attacco nelle strade siano stati già raccolti oltre 1200 cadaveri, molti non ancora identificati. E che 47 corpi sono stati sepolti in una fosse comune per l’impossibilità di raggiungere i cimiteri.

Jaime Nadal, responsabile per l’Ucraina del Fondo delle Nazioni unite per la popolazione (Unfpa), riferisce che secondo le informazioni in suo possesso quello di mercoledì è il terzo caso di reparto maternità preso di mira: nei giorni scorsi sono state già «completamente distrutte», dice, strutture simili a Zhytomir e nella zona di Kharkiv. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) citata dalla Cnn quantifica in 24 gli attacchi condotti dalla Russia contro strutture sanitarie tra il 24 febbraio e l’8 marzo, con la morte di almeno 12 persone e 17 feriti.

SAREBBERO INVECE 71 I BAMBINI uccisi finora dalla guerra di Putin secondo Liudmyla Denisova, incaricata dei diritti umani al parlamento ucraino. 100 i feriti.
Le versioni contrapposte hanno riguardato un po’ tutto lo scenario del conflitto anche ieri. I corridoi umanitari che non funzionano e anzi vengono bombardati, la fornitura elettrica delle centrali nucleari, la velocità (o lentezza?) con cui procede l’avanzata militare russa verso Kiev, da dove secondo il sindaco Vitali Klitschko sarebbe già stata evacuata metà della popolazione.
Tra le vittime più che collaterali, anche perché a quanto riferiscono su Telegram fonti del ministero dell’Interno ucraino ci sarebbero solo danni materiali, lo stabilimento della Coca-Cola di Bolshaya Dymerka, non distante dalla capitale.

ZALENSKY IERI HA AGGIORNATO sui negoziati di pace il cancelliere tedesco Scholz e il presidente francese Macron, ricevuto «ulteriori sostegni all’Ucraina» dal premier britannico Johnson, discusso con tutti e tre di nuove sanzioni da imporre a Mosca. Dagli Usa ha incassato il primo sì del Congresso a nuovi aiuti: 13,6 milioni di dollari, per metà in armi.

La volontà di resistere è stata poi reiterata da più parti, con l’intensità di sempre. In evidenza anche l’ex premier Tymoshenko. E la notizia, già trapelata martedì, che Kiev si vede costretta a ritirare i 250 caschi blu ucraini impegnati nella missione Onu in Congo, divenuto all’improvviso un posto sicuro. Soprattutto rispetto agli scenari prefigurati da Boris Johnson, che intervistato da SkyNews ha espresso il timore che Putin – ieri alle prese con la tempesta economica e con l’ormai quasi scandalo dei coscritti spediti sul fronte ucraino – possa ordinare l’uso di armi chimiche.

L’ipotesi di una guerra nucleare, almeno quella è sembrata in ribasso. «Non ci credo e non la voglio» ha assicurato Lavrov, accusando la Nato e l’Occidente di aver sollevato il tema. Ma anche la guerra convenzionale non scherza. E per ora non si ferma, aggravando un costo già abnorme di vittime civili.

TRA LE POSSIBILI E DA PIÙ PARTI invocate figure di mediazione ieri sarebbe sceso in campo anche Gerhard Schröder, cancelliere tedesco dal 1998 al 2005 e oggi ai vertici non senza polemiche del gigante petrolifero russo Rosneft, via Gazprom, e del consorzio che ha le chiavi di NorthStream2. Volando a Mosca per incontrare a quanto si dice Putin ha quasi rubato la scena a Erdogan. Il quale sui non progressi nel negoziato in terra turca in serata ha aggiornato il presidente americano Joe Biden. Rimarcando la capacità di Ankara di «dialogare con entrambe le parti» in virtù delle «ottime relazioni sia con Kiev che con Mosca». Già che c’era ha ricordato a Biden come sia «giunto il momento di togliere le sanzioni imposte alla Turchia e di raggiungere un accordo su compravendita e modernizzazione dei nuovi aerei da combattimento F-16». Il riferimento è all’esclusione della Turchia dal programma Nato F-35 dopo l’acquisto dei sistemi di difesa missilistica russi S-400.