Mentre in Europa si faceva fatica a costruire una mappa delle prime registe, nei paesi comunisti se ne potevano contare illustri esempi, prova di mancata discriminazione di genere. Eppure, a scavare meglio (come il Cinema Ritrovato fa con le sue scoperte) ecco che anche dall’Urss emerge un vasto panorama di esempi censori.

Lana Gogoberidze l’abbiamo incontrata nel 1991 nel corso di una rara rassegna di cineaste georgiane agli incontri di Cinema e donne di Firenze. Aveva già vinto in Italia nel 1979 il Gran premio al festival di Sanremo dedicato ai paesi dell’est con Alcune interviste su questioni personali. Quella placida signora che aveva portato le pizze del suo film in valigia, scoprimmo poi, che era anche deputata al parlamento, ambasciatrice del suo paese in Francia ed emerse un po’ alla volta tutto un mondo ancora da esplorare. Dietro quei racconti di rapporti generazionali si nascondevano immani tragedie che sono state portate alla luce solo recentemente e completano il quadro solo oggi attraverso i film delle pioniere sovietiche proposte dal programma del Cinema Ritrovato di Bologna.

Tra queste spicca il nome di Nutsa (Nino) Gogoberidze ed ecco che un altro importante elemento di storia si ricompone: si tratta infatti della madre di Lana, anche lei regista, esponente dell’avanguardia di Tbilisi, di cui sono presentati due rarità: Buba (1930), documentario sulle condizioni di un poverissimo villaggio del nord della Georgia e sulla trasformazione portata dai sovietici, un film messo a confronto con il celebre Il sale della Svanezia, il documentario girato da Michail Kalatozov quello stesso anno sullo stesso tema, nelle montagne vicine. Utzumuri (1934) subito vietato e considerato perduto è stato ritrovato solo nel 2013: mostrava le condizioni di un luogo altrettanto arretrato, dove tutto riconduceva a uno stato di malessere e di morte, le paludi della Mingrelia in via di bonifica per combattere la malaria, con drammatiche scene per niente apprezzate dalle autorità.

Un film di Lana Gogoberidze visto nel 1992 Il valzer del fiume Pechora che poteva sembrare di pura finzione era in realtà la storia della sua famiglia: Nino fu arrestata nel 1937 come familiare di un nemico del popolo, dopo che il marito venne giustiziato nello stesso anno e mandata in esilio: nel film della figlia Lana si racconta come i campi di prigionia fossero troppo affollati per accogliere anche le donne non in grado di essere impiegate nei lavori forzati, così erano costrette a vagare come potevano nel terribile inverno.

Da Nino a Lana oggi il testimone è passato anche alla nipote Salomé Alexi (ma il suo vero nome è Nutsa come la nonna) selezionata a Venezia con «Kreditis limiti» nel 2014.

Barskaja e i bambini
Anche se tra le pioniere del cinema ci sono sempre state le registe proveniente dai paesi dell’est, anche in Urss i loro nomi erano messi tra parentesi come «mogli di» oppure relegate alle professioni più «femminili» di sceneggiatrici o montatrici, autrici di documentari o film per bambini. Proveniva dall’Azarbaigian Margarita Barskaja, nata a Baku nel 1903, attrice per Dovzenko, fondatrice a Mosca di una scuola di recitazione per bambini, regista nel 1933 di Rvanye bašmaki (Scarpe rotte, 1933), l’ascesa del nazismo in una città operaia tedesca, ma dal punto di vista dei bambini, con scene di miseria sociale (che ricordano il folgorante Kuhle Wampe di Dudow), diventato subito celebre per l’inedita presa diretta del sonoro in cui i bambini potevano improvvisare, definito da Langlois il miglior film sovietico del sonoro, un’opera che colpì anche Gorkij.

Nel ’36 il suo studio diventò una grande istituzione (ma controllata dalle associazioni giovanili del partito), il suo secondo film (Padre e figlio, 1936) fu vietato (racconta di un padre direttore di fabbrica insignito del premio Lenin che non ha tempo da dedicare al figlio dodicenne che scappa di casa). Si bloccò anche il film successivo mentre si scatenò una violenta campagna contro di lei che, legata a Karl Radek suo consulente nel film sul nazismo, si rifiutò di testimoniare contro di lui. Più che la scena incriminata di un operaio che si addormenta durante la riunione del Partito sarà colpita dal fatto di essere «amica di un nemico del popolo». Un suicidio mise fine alla sua vita nel 1939.

Chochlova e lo Zar
È assai istruttivo in fatto di misoginia leggere le biografie delle registe in programma nel catalogo del festival a cura di Irène Bonnaud e Bernard Eisenschitz: Aleksandra Chochlova (1897-1985) attrice famosa su cui scrissero saggi Sklovskji e Eizensteijn, collaboratrice di Kulesov come assistente e attrice, ebbe una carriera assai breve come regista (dal ’29 al ’31) probabilmente non perché fu definita «magra e brutta» dopo il fiasco di Zurnalistka (La giornalista, 1927) di cui si conserva un’unica bobina, dove interpretava un tipo di donna forte e indipendente, ma soprattutto perché la sua influente famiglia era stata legata allo zar Nicola. Intervenne a proposito perfino Ejzenstejin sulla rivista Kino: «Quando si tratta di una donna, l’idea di maestro, di artista con pari diritti non è riconosciuta». A Bologna si vedranno Il caso dei fermagli (1929) in occasione del ritorno di Gor’kija Mosca e Sasha (’30) intreccio poliziesco che racconta il periodo dell’inurbamento dalla campagna.

Koserova, il successo
Quando invece i film hanno successo e sono indirizzati a bambini o sono film d’animazione tutto sembra andare per il meglio: è il caso di Nadezda Koserova (1902-1989) prima attrice, poi regista alla Lenfilm, che ha girato in maniera regolare commedie, film musicali e per bambini come una fantasiosa Cenerentola (Zduska, 1947) per rallegrare il pubblico appena uscito dalle devastazioni della guerra. O come Tatjana Lukasievic anche lei attrice e poi regista che riesce a girare 15 film con i bambini, tra cui il grande successo di pubblico La trovatella (’39) oggi colorizzato o Gavros (’37) da Les Miserables di Victor Hugo, il Gavroche interpretato da Nikolaj Smorckov morto sul fronte a 21 anni.