“Ma lo sanno gli indiani che per riaccendere l’altoforno ci vuole un anno, e prima di riaccenderlo va rifatta l’acciaieria e qui di anni ce ne vogliono due?”. Le voci operaie di una Piombino cassintegrata – quando va bene – fanno da colonna sonora alla profonda disillusione di una città ancora aggrappata all’acciaio, ma davvero stufa di improvvisazioni. Dopo un agosto di boatos (“Arriva Jindal, arriva Jindal”), finalmente il sindaco piddino Massimo Giuliani ha confermato al Tg3 regionale: “Alcune settimane fa abbiamo preso un primo contatto con i rappresentanti di Jindal”. Poi però, ben conoscendo il pensiero dei concittadini, Giuliani ha puntualizzato: “Al di là dell’interesse del gruppo indiano, dobbiamo comprendere in che rapporti sta questo interesse con il piano Cevital, e dall’altra parte il tipo di progettualità prevista”.
Traduzione: “Sulla proposta Jindal è necessario capire che cosa si produce, come lo si intende produrre, e dove si intende proporre l’eventuale dislocazione degli impianti”. Qui casca l’asino. Perché è vero che la Cevital di Issad Rebrab, non potendo disporre dei cospicui capitali del gruppo bloccati in Algeria, ha messo “solo” 120 milioni nelle Acciaierie. Per poi annaspare alla (inutile) ricerca di finanziamenti su un progetto ambizioso – l’inquinante siderurgia fuori città, polo agroalimentare nell’enorme area, degradata e da bonificare, delle Acciaierie – e assai costoso. Ma è altrettanto vero che i progetti abbozzati da Jindal al sindaco Giuliani fanno a cazzotti sia con il disegno della Piombino futura, che con i problemi logistici e gestionali di un settore “pesante” come l’industria siderurgica.
Le anticipazioni del confindustriale Sole 24 Ore raccontano che Jindal South West, sconfitto nella gara per l’Ilva di Taranto, è interessato ad avere una base produttiva in Europa, visto lo scenario di progressiva chiusura dell’Ue all’import di acciaio. “Jindal vuole riattivare l’altoforno – annuncia il quotidiano – e costruire un laminatoio per i coils piani, creando di fatto un terzo polo italiano, in concorrenza con Ilva e Arvedi. E la scelta di Piombino è talmente strategica che Jsw sarebbe pronta anche a negoziare con Cevital, senza aspettare eventuali rescissioni”.
Ballerebbero i soldi, con Rebrab che chiede 100 milioni e Jindal che ne offre 50. “Ma un’intesa consentirebbe comunque al governo di evitare la strada della rescissione- chiude il Sole 24 Ore – non priva di complicazioni”. Forse è per questo, per evitare complicazioni, che il ministro Calenda non si sta facendo trovare né dai sindacati né dai rappresentanti degli enti locali. “Per giunta – raccontano gli operai piombinesi – le Acciaierie hanno sempre lavorato prodotti lunghi, a partire dalle rotaie. Mentre dicono che Jindal vuol fare anche gli acciai piani. Quindi, oltre a tutto il resto, andrebbe fatto anche un altro laminatoio”.
Lo scetticismo di chi ha visto spengere tre anni fa l’altoforno per decisione governativa (“lavorava in perdita…”), e non ha visto nemmeno un euro dei primi 50 milioni in teoria stanziati per le bonifiche, fa pendant con l’analisi di Francesca Re David: “Le vertenze della siderurgia dimostrano la totale mancanza di una politica industriale in questo paese. Qui chiunque fa shopping senza avere un’idea complessiva delle responsabilità complessive e su quello che succede”. E attenzione, avverte la numero uno della Fiom Cgil: “La vertenza di Piombino si intreccia con quella di Taranto, con un tavolo aperto molto complicato e 4.000 esuberi. E con la riforma che c’è stata, di cui si sentiranno gli effetti dall’autunno, ci troviamo a gestire le crisi e le ristrutturazioni senza neanche il sostegno degli ammortizzatori sociali”.