Il candidato sindaco di Piombino che al momento appare favorito è espressione di un partito neofascista: «Fratelli d’Italia». Il termine «neofascista» può essere usato in questo caso con sufficiente precisione, essendo i richiami espliciti al «fascismo storico» i lineamenti di fondo di un partito che, non a caso, candida i vari Mussolini come espressione simbolica di una lunga continuità.

Non si tratta certo di un fenomeno isolato nell’odierno panorama politico, ma di un evento ampiamente diffuso su tutto il territorio nazionale, Toscana ex rossa ben compresa.

Quello di Piombino, però è caso di studio e, insieme, di riflessione politico-culturale di particolare importanza. Sono pochissime, infatti, le realtà italiane di pari dimensione che, per la loro compattezza economico-sociale, hanno avuto nel Novecento una vicenda che dal punto di vista della storia del movimento operaio ha assunto un valore quasi paradigmatico. Una storia densissima.

Il confronto continuo con l’ingegneria della tecnica e l’ingegneria finanziaria, con la politica economica nazione, con la funzione strategica per il paese della siderurgia, dei modi di organizzazione della forza lavoro, con le loro espressioni politiche.

Una storia di un’antitesi costante, scandita da eventi di grande risonanza: lo sciopero/serrata del 1911 durato quasi sei mesi, l’occupazione delle fabbriche e lo sciopero insurrezionale del 1920; più recentemente, poi, l’occupazione della Magona nel 1953 e i violentissimi scontri nella lotta contro i massicci licenziamenti.
Inoltre, il modo di concepire e di esercitare il conflitto al centro e nei punti più alti della modernità, comportava anche l’acquisizione di quel forte senso di dignità collettiva e di responsabilità generale che sarebbe stato alla base dalla battaglia del 10 settembre 1943, uno dei primi ed eclatanti esempi della resistenza italiana.

Il comune, socialista dal 1902, altro non è stato, per quasi tutto il secolo, che una componente di questa complessa antitesi. Come una storia simile può rovesciarsi nel suo contrario?

Un sindaco neofascista sarebbe l’epifenomeno più evidente di un processo iniziato ormai da diversi lustri.

La sintomatologia del «grande balzo all’indietro» coincide esattamente con la progressiva, tendenzialmente totalitaria, affermazione del neoliberismo.
Il neoliberismo non è una teoria economica, bensì un dispositivo normativo che utilizza le strutture statuali per la costruzione dell’ambiente più adatto all’esercizio della teoria economica dominante.

Proprio quell’insieme teorico, e dunque delle pratiche di politica economica, delle quali tutta la storia novecentesca di Piombino era stata l’antitesi più netta, più avanzata, più moderna.

Nei confronti del neoliberismo non c’è possibilità di neutrale collocazione: o lo si combatte e con gli strumenti culturali derivanti dalla critica dell’economia politica, con una motivata e motivante lotta sociale, oppure se ne diventa componente interna.

Esattamente come è successo a partire dagli anni Novanta del Novecento, quando le varie «cose» derivate dal suicidio/omicidio del Pci hanno trovato stabile e fattiva collocazione nel contesto dell’universo neoliberista.

Ciò non poteva non avere effetti devastanti su un tessuto politico e sociale come quello piombinese, la cui compattezza era stata sempre garantita da un sistema di relazioni politiche, culturali, di intervento rivendicavo, di resistenza ai meccanismi di sfruttamento tra loro coerenti.

Il nodo centrale di quel sistema si era definitivamente dissolto. Non si analizzavano più le cause profonde, strutturali, insiste nei nuovi modi di accumulazione del capitale, le basi insomma di una condizione operaia che si faceva sempre più subalterna.

Senza questo modo di pensare la politica negli svolgimenti profondi che la determinano, banalizzazione, chiacchiericcio, personalizzazione, logiche dei gruppi d’interesse, trasformismo, sono diventate progressivamente il luogo del confronto e del dibattito politico.

Banalizzazione, naturalizzazione anche delle forme locali in cui si presentava, si presenta, in maniera sempre più pervasiva il neofascismo.
E la naturalizzazione è arrivata al punto che sono state costruite liste con materiale umano e simbolico (una si si è data la denominazione di Lavoro&Ambiente) proveniente da sinistra in appoggio al candidato sindaco di «Fratelli d’Italia», senza che venisse avvertito il groviglio contraddittorio, l’ossimoro, lo scandalo, di un’operazione di tal fatta.

Il «sonno della ragione genera mostri», è il noto titolo di un’acquaforte di Francisco Goya. Senza scomodare la profondità interpretativa del grande pittore, possiamo però concordare che il sonno della ragione politica genera, come nel nostro caso, mostriciattoli. Speriamo solo che non si tratti di un’avanguardia.