La relazione della Commissione regionale sulla gestione dell’emergenza Covid al Trivulzio ha avuto l’effetto di spostare l’attenzione dai vertici del Pat e della Regione ai lavoratori. È il dato sull’assenteismo quello evidenziato nel testo e agitato in conferenza stampa quasi come una pistola fumante. Nulla invece sulla catena di comando e i vertici del Pat hanno salutato con soddisfazione quanto concluso dall’organismo regionale: «La relazione fa giustizia del grande lavoro svolto nelle eccezionali e gravi condizioni in cui si è sviluppata la pandemia», scrive il Pat in una nota.

LA RELAZIONE È MOLTO VICINA alla linea difensiva portata avanti in queste settimane dai vertici del Trivulzio che poggia su alcuni punti ribaditi ieri nella nota: «Dal 25 febbraio la Protezione Civile aveva bloccato le acquisizioni dei dispositivi di protezione individuali, i tamponi a ospiti e personale è stato possibile farli solo da metà aprile, le indicazioni d’uso delle mascherine erano già operative con i bollettini di febbraio». Punti che ritroviamo anche nella relazione della Commissione regionale. Un po’ poco per una vicenda dolorosissima che meriterebbe un livello di approfondimento maggiore delle responsabilità decisionali e politiche. Ora invece l’indice è scivolato dall’alto verso il basso: i lavoratori.

L’assenteismo, come viene definito dalla Commissione, nei momenti più critici avrebbe raggiunto picchi del 65%, mediamente del 57. Un problema noto ai vertici del Pat, e quindi anche alla Regione Lombardia, su cui non c’è stato un intervenuto risolutivo. Anche in altre Rsa lombarde la media di lavoratori a casa a marzo e aprile ha oscillato tra il 30 e il 60%.

PERCHÉ COSÌ TANTI lavoratori a casa? Il problema, più che il Covid, sembra essere stato di appartenenza e abnegazione secondo l’interpretazione del neo direttore generale della sanità lombarda Marco Trivelli. «Non a tutti possiamo chiedere l’abnegazione di dedicarsi ai pazienti Covid in un modo diretto», ha detto Trivelli alla sua prima uscita pubblica dopo la nomina voluta dal presidente Fontana al posto di Luigi Cajazzo. «Il dato che emerge da questa relazione è distonico rispetto al resto del sistema lombardo e pone il problema di cosa sia il Pio Albergo Trivulzio, una struttura di tutti e di nessuno. Ma una struttura è innanzitutto di chi ci lavora, è la reale partecipazione di chi opera che fa la qualità nella risposta», ha sostenuto Trivelli in conferenza stampa. Partecipazione che da una maggioranza dei lavoratori del Pat non sarebbe quindi arrivata, secondo questa interpretazione.

MA IN QUELLE SETTIMANE di crisi si lavorava senza mascherine di scorta, arrivate solo verso la fine di marzo secondo quanto denunciato dai lavoratori, senza tamponi, iniziati in modo sistemico solo dai primi giorni di maggio, con la paura di essere contagiati e poter contagiare. «Alcuni lavoratori erano a casa perché convivevano con persone positive al Covid e quindi dovevano stare in isolamento», spiega Piero La Grassa, delegato della Cgil al Trivulzio, «altri erano in malattia per motivi non riconducibili al Covid ma non potevano rientrare senza un certificato che attestava non avessero il virus. Per rientrare bisognava aspettare l’esito del tampone, ma i tamponi non c’erano. Io ho avuto il test nella prima settimana di maggio, alcuni lavoratori sono stati costretti a restare a casa anche 40 giorni in attesa del tampone, lo definirei un assenteismo forzato».

LA GRASSA FA IL FARMACISTA all’interno del Pat, è testimone diretto della gestione sanitaria della pandemia. «Aggiungo un’altra cosa: sicuramente qualcuno è rimasto a casa per paura, ma anche fosse così, sarebbe un doppio fallimento per l’azienda, perché quei lavoratori non si sono sentiti tutelati».

Conferenza stampa della Commissione regionale di indagine sul Pio Albergo Trivulzio Foto LaPresse

SULLA CATENA DI COMANDO la Commissione tace: «Spetterà alla Procura evidenziare eventuali responsabilità», ha detto il presidente della Commissione e direttore sanitario dell’Ats di Milano Vittorio Demicheli. Ats che in questa vicenda è parte in causa, controllata e controllore, perché la catena delle decisioni partiva dall’assessorato di Giulio Gallera, passava dalle Ats e arrivava ai vertici delle strutture.

«Siamo profondamente delusi», ha commentato l’associazione Felicita che riunisce i parenti delle vittime. «Questa delusione non era imprevista», dice Alessandro Azzoni, presidente dell’associazione. «Io stesso sono stato ascoltato dalla Commissione a maggio e avevo evidenziato che ci fosse una sorta di non neutralità di questa commissione costituita con Ats Milano, la stessa Ats che ha funzione di controllo delle Rsa. I vertici del Trivulzio ci hanno nascosto che era in atto un’emergenza». Tra gli 8 componenti della Commissione c’è anche l’ex pm di Mani Pulite Gherardo Colombo, indicato dal comune di Milano. Contattato, Colombo ha detto di non voler commentare la relazione della Commissione: «Non dico nulla».