Non ci pensava affatto, al cinema, Pino Donaggio, musicista veneziano di formazione classica con la vocazione del violinista, finito quasi per caso a comporre musica da film. Emanuela Martini, quest’anno, gli ha reso omaggio con il Gran Premio Torino 2017, celebrando una lunga carriera costellata di successi sia nella musica leggera che nell’ambito della settima arte, appunto. Donaggio comincia a scrivere brani musicali nella seconda metà degli anni Cinquanta, passando a incidere i primi dischi nel decennio successivo, quando l’Italia cercava di cambiare musica scoprendo il «rock’n’roll». Si fa conoscere dal grande pubblico al Festival di Sanremo, bucando la scena nel 1964, grazie alla hit Io che non vivo (senza te), finita addirittura nel repertorio fisso di Elvis Presley con il titolo internazionale You Don’t have to Say You Love Me.

Nei settanta  collabora con Enzo Jannacci, mentre nello stesso periodo un regista inglese, Nicholas Roeg, lo ingaggia per comporre la colonna sonora del suo thriller A Venezia… un dicembre rosso shocking. Quella sfida accettata quasi per caso finisce per segnare il suo destino. Notato da Brian De Palma, alla ricerca di sonorità che rimandassero all’amato Bernard Herrmann, per sempre associato al cinema di Hitchcock, nel 1975 viene ingaggiato per scrivere le musiche di Carrie – Lo sguardo di Satana: per i due è l’inizio di un sodalizio tra i più celebri della storia del cinema e che darà forma, anno dopo anno, alle musiche di Home Movies – Vizietti famigliari (1979), Vestito per uccidere (1980), Blow Out (1981), Omicidio a luci rosse (1985), Doppia personalità (1992), Passion (2012) e l’atteso Domino di prossima uscita.

La collaborazione con De Palma definirà Donaggio come musicista specializzato nella composizione di colonne sonore di film giallo e horror, la sua filmografia si arricchirà di collaborazioni fra gli altri con Dario Argento, Joe Dante, Lucio Fulci, Michele Soavi, ma anche di autori dal registro assai diverso: da Liliana Cavani a Massimo Troisi, da Roberto Benigni a Pupi Avati.

«Perché» – come ha avuto modo di raccontare all’incontro organizzato nella cornice del festival – «a guidarmi è il piacere di scrivere musica e non volevo restare legato a un solo genere cinematografico. Sono le immagini a ispirarmi, neppure sapevo di avere una memoria visiva accentuata, ma è proprio questo il segreto: assecondare le immagini e trovare una musica che vi si adatti. Non il contrario. Non porto la mia musica nel film, mi metto a servizio di ogni regista e la compongo secondo la sua idea di cinema».

«Di solito – prosegue – il regista ha le idee chiare, sa cosa vuole e te lo spiega. La bravura sta nel tradurre quelle esigenze in musica. Poi c’è quello come Fulci, che si affida completamente e ti dice “fai tu”». Il segreto della lunga collaborazione con De Palma? «Ci siamo sempre capiti benissimo, fin dal primo incontro. Qualcuno poi dice che lui gira immagini un po’ fredde. E la mia musica le scalda».