Una semplice musicassetta col provino di 4 brani, passata di mano in un bar, avviò la straordinaria carriera di Pino Daniele, allora un ragazzo di venti anni – Pinotto, lo chiamavano gli amici- che cercava la sua strada nel mondo delle sette note. Lo ricorda il libro Terra mia (Minimu Fax, pg. 130, euro 13) , scritto da Claudio Poggi, il produttore di quel brillante esordio discografico, e Daniele Sanzone, leader degli ‘A67 e giornalista, «fulminato» dai lavori dell’uomo in blues, nel quarantesimo anniversario della sua pubblicazione. Furono proprio quelle registrazioni su un Teac a quattro tracce, fatte insieme al percussionista Rosario Jermano, a colpire tutti quelli che l’ascoltavano, dai discografici ai giornalisti. C’erano la rabbia, il dolore e i sogni di un ragazzo che s’esprimeva con la parlata di strada, un dialetto crudo e verace ai limiti della poesia, che voleva uscire fuori dagli schemi della Napoli folklorica, che credeva nella possibilità di cambiare e lo cantava puntando su accattivanti melodie, come Terra mia e Napule è, Libertà e Che calore.

Il memoir d’invidiabile forza e freschezza di scrittura rappresenta un tuffo negli anni settanta, raccontando da molto vicino il debutto del grande musicista, già col suo carattere timido e difficile, innamorato pazzo di black music e sonorità new wave, maniacale ed esigente (prima con se stesso e poi con gli altri).

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E tutto il clima creativo del Naples Power, dai compagni d’avventura Enzo Avitabile e Rino Zurzolo fino alle coriste Donatella Brighel e Dorina Giangrande (che sposerà presto), passando per James Senese e Franco Del Prete di Napoli Centrale (dove farà esperienza da bassista) che sono stati interpellati e hanno aiutato a ricordare avvenimenti ed episodi di quella stagione felice. Quando un giovane cantautore (così lo presentava l’Emi all’epoca) rinverdiva la tradizione napoletana con fantasia e bravura cercando libertà, senza voler accettare compromessi tanto da scegliere una foto del fratello Salvatore per la copertina e litigare con Poggi per una campagna promozionale troppo frivola.

Erano viaggi a Roma in cinquecento e nottate a sognare grandi palchi, immaginando di poter suonare con Eric Clapton o Pat Metheny (cose regolarmente avvenute) o di scrivere canzoni per Mina o imitando i grandi del funk americano, il magnifico salto dal trampolino di un cantante, chitarrista e autore di canzoni indimenticabili che ancora accompagnano le nostre giornate.