È una strategia a base di bastone e carota quella che il presidente Sebastián Piñera sta portando avanti nel tentativo di arginare le proteste che vanno avanti ininterrottamente da tre settimane in Cile: minacciando e blandendo, ma senza riuscire né a intimidire né a persuadere.

Agitando il bastone, il presidente ha annunciato una nuova agenda di sicurezza destinata a «rafforzare l’efficacia delle forze dell’ordine e a combattere la delinquenza», attraverso misure repressive come una legge “anti-saccheggi” e una “anti-incappucciati” per punire con maggior rigore i disordini provocati da persone con il volto coperto, punizioni più severe per chi alza barricate o pone ostacoli alla libera circolazione, la creazione di una squadra speciale di procuratori e poliziotti «per migliorare il lavoro di intelligence preventiva e investigativa».

Usando la carota, Piñera ha invece lanciato giornate di «dialogo cittadino» finalizzate a raccogliere nell’arco di due mesi le proposte relative alle principali rivendicazioni della popolazione. «Non ci sono temi vietati, li discuteremo tutti», ha garantito il governo.

Ma la popolazione, per nulla interessata a dialogare con il governo, si prepara, al contrario, allo sciopero generale del prossimo 12 novembre.