Al conflitto in corso nel Wallmapu, la terra dei mapuche, lo stato cileno risponde sempre nello stesso, fallimentare modo: con la repressione e la criminalizzazione. Cosicché non c’è affatto da sorprendersi se, di fronte all’aumento delle azioni di recupero delle terre usurpate e dei sabotaggi nei confronti delle imprese forestali e dei grandi latifondisti, il presidente Piñera, messo ancor più alle corde dallo scandalo dei Pandora Papers, abbia provveduto a dichiarare lo stato di eccezione per 15 giorni nelle province di Arauco, Biobío, Malleco e Cautín, con relativo dispiegamento non solo dei carabineros ma anche dell’esercito. E che lo abbia fatto proprio durante la Giornata dell’incontro dei due mondi, come viene eufemisticamente chiamato in Cile il 12 ottobre, anche noto con lo sciagurato nome di “Día de la raza”.

UNA DECISIONE chiaramente politica, dettata dalla necessità, a poco più di un mese dalle elezioni presidenziali, di risollevare le sorti del candidato di Piñera Sebastián Sichel, in calo in tutti i sondaggi, tenendo alta la bandiera sempre utile della sicurezza e della lotta contro la violenza terrorista, come la legittima resistenza mapuche viene considerata dalle destre. Obiettivo del governo è cioè, secondo quanto ha dichiarato a El Mostrador il sociologo Mauricio Morales, «tornare a riunire quello che resta del centrodestra attorno a un tema comune che abbia senso per l’elettorato conservatore».

Quali poi saranno le conseguenze di tale decisione, analisti ed esperti non hanno dubbi. Che il controllo dell’area venga lasciato alle forze armate, malgrado la loro impreparazione a svolgere compiti di ordine pubblico, non potrà infatti che comportare l’aumento di abusi e violazioni dei diritti umani, con corrispondente inasprimento delle azioni di autodifesa del settore mapuche più radicale.
Cedendo alle richieste di settori imprenditoriali e dei camionisti, che già la scorsa settimana si erano mobilitati esigendo migliori condizioni di sicurezza, il governo ha così voltato le spalle al norvegese Centro Nansen per la pace e il dialogo, che, accogliendo l’invito di sette rettori di università cilene, aveva accettato di mediare nel conflitto tra i mapuche e lo stato cileno.

MA PIÑERA non si è reso conto di giocare con il fuoco, come ha indicato il sociologo Nicolás Rojas Pedemonte a proposito di una possibile «mobilitazione solidale con la causa mapuche a livello nazionale: qualcosa di simile a quanto avvenuto con l’assassinio di Camilo Catrillanca nel 2018, una sorta di prova generale della rivolta dell’anno successivo». Di modo che, con uno «scenario politico tanto aperto» e alla vigilia del secondo anniversario di quella sollevazione, la proclamazione dello stato d’eccezione è come «accendere la miccia in un mare di petrolio».

E immediata è stata la risposta dei movimenti popolari alla misura decisa dal governo, oltretutto seguita alla brutale repressione, domenica scorsa, della Marcia per la resistenza dei popoli originari a Santiago, durante la quale ha perso la vita l’attivista dei diritti umani Denisse Cortés Saavedra. E mentre diverse manifestazioni hanno avuto luogo lunedì contro l’ennesimo atto di violenza – secondo i testimoni, i carabineros non avrebbero lasciato passare l’ambulanza che avrebbe potuto soccorrere la donna -, Radio Plaza de la Dignidad ha diffuso un manifesto per denunciare l’avvio di «una nuova fase della guerra contro il popolo-nazione mapuche» scatenata da un «governo terrorista, amministratore di uno stato coloniale a servizio delle grandi multinazionali», ed esortare il popolo cileno a non assistere passivamente alla nuova aggressione.