Il Ddl Pillon ricomparirà in settembre riscritto ed emendato quanto basta per ottenere l’approvazione dei parlamentari più dubbiosi del M5s. Il giudice del tribunale di Napoli, Stefano Celentano, lo ha definito una legge “con una matrice invasiva e punitiva” , destinata a produrre non l’equilibrio tra le figure genitoriali, ma ulteriori divisioni e conflitti, il cui obiettivo è ostacolare separazioni e divorzi, “per preservare il legame indissolubile della famiglia tradizionale”. Tenuto conto che a far introdurre nel contratto di governo le norme , “nell’interesse materiale e morale del figlio minore”, è stata, da parte della Lega, la “questione dei padri separati”, l’esito di stampo rancoroso e repressivo, che ne ha capovolto le finalità, si può dire che era previsto.

L’affido, diviso sulla base del doppio domicilio e della permanenza matematicamente “paritetica” presso un genitore e l’altro, non è stato certo pensato nell’interesse dei figli, una proprietà che si può spartire in parti uguali, fuori da ogni logica di radicamento in un luogo, in un contesto sociale educativo, come la scuola, le amicizie, una quotidianità fatta di abitudini e affetti. Altrettanto ipocrita è parlare di “diritto alla parola del minore”, quando l’ascolto è formalizzato sul modello di un processo penale: videoregistratori, presenza di un giudice e di un esperto, e dei genitori, sia pure in locale separato.

Che si tratti di una contrapposizione conflittuale tra adulti è evidente, ma è altrettanto incontestabile, come hanno ampiamente detto tutte le analisi e le prese di posizione delle associazioni femminili e femministe, che l’accanimento vendicativo è rivolto prima di tutto alle donne: tolto l’assegno di mantenimento, resa più difficile la denuncia di un marito violento per paura di perdere il figlio, che le si accusi di averlo messo contro il padre, costrette a cercare “compromessi” con l’uomo da cui dovrebbero allontanarsi.

Ma c’è tuttavia un aspetto che è passato in ombra, forse perché avrebbe costretto a prendere atto che si tratta non di un conflitto ma di un rapporto di potere che emerge oggi, nel privato come nel pubblico, in tutte le sue forme, invisibili e manifeste, e in tutta le sue ambiguità e contraddizioni.

E’ l’accostamento tra la giusta richiesta della responsabilità condivisa tra madri e padri –ma si potrebbe dire più in generale tra uomini e donne per quanto riguarda la cura e la crescita dei figli, la conservazione della vita, il benessere materiale e psicologico di tutti gli esseri umani- e i casi di separazione e divorzio. La consapevolezza di quello che ha significato nel corso di una storia millenaria la divisione sessuale del lavoro (moglie e madre, lavoro domestico e lavoro di cura). Doti naturali femminili da elargire con amore e negazione di sé, che sembrano possano fare la loro comparsa, in modo stravolto e rivendicativo, solo quando le donne dimostrano di non voler più essere quel corpo a disposizione di altri.

E’ quello che succede per i femminicidi, legati quasi sempre alla decisione della donna di separarsi o di denunciare la violenza di coppia, ed è quello che in forme non mortali ma non meno devastanti si verifica quando si criminalizza l’aborto o, quando, come nel caso del Ddl Pillon, si approvano norme che dietro l’apparente volontà di limitare il potere delle madri, le costringe di fatto a tornare nei ruoli tradizionali, sempre più vacillanti. La difficoltà maggiore che incontrano le nuove consapevolezze e il lungo percorso culturale e politico del movimento delle donne, sembra legata agli annodamenti profondi, arcaici, mai indagati quanto meritavano, di un potere dove ancora si intrecciano amore e odio, sopraffazione dipendenza, esibizione di forza e fragilità. Finché la liberazione delle donne viene scambiata per un capovolgimento di poteri –perché tale è l’immaginario maschile -, gli uomini finiranno inevitabilmente per ripiegare, vittimizzandosi, su logiche di guerra.

Che a fronte della sequenza allarmante e pressoché quotidiana dei femminicidi la risposta sia nel Ddl Pillon, nel tentativo di restaurare un ordine autoritario e patriarcale che ha perso, non da ora, la sua credibilità, fa pensare che siamo ancora lontano dall’assunzione di una responsabilità maschile, non solo per quanto riguarda i figli, ma il modello di civiltà.