«Il cinema si fa tra amici» dice Pietro Marcello citando Renoir nell’incontro intorno al suo nuovo lavoro, L’envol, che oggi apre la Quinzaine des Realisateur. E lui lo sa bene visto che nei suoi film, da La bocca del lupo a Martin Eden, si ritrovano spesso gli stessi «complici» a cominciare da Maurizio Braucci, col quale anche stavolta ha lavorato alla sceneggiatura insieme a Maud Ameline, con la collaborazione di Geneviève Bisac. Questo però è anche un film «diverso» visto che è il primo che ha realizzato in Francia, con attori francesi, una troupe francese e, come afferma, metodi diversi. Ma che storia racconta L’envol? All’origine c’ è il romanzo Le vele scarlatte (Editori riuniti, 2020), tra le opere più importanti dello scrittore russo Aleksandr Grin, la storia di una ragazza orfana di madre che vive col padre, un marinaio in povertà, alla quale un vecchio predice che un principe un giorno la porterà via su una nave con le vele scarlatte. Grin era nato alla fine dell’800, aveva aderito al socialismo rivoluzionario e per la sua attività politica era stato arrestato più volte. Dopo la Rivoluzione d’ottobre però aveva preso le distanze dalla politica ritirandosi in Crimea, dove morirà in povertà perché nessuno aveva voluto più pubblicarlo. Lo consideravano «troppo romantico», il suo antimilitarismo era malvisto e nel 1930, due anni prima della sua morte, la censura sovietica lo mise al bando.

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La difficoltà a dire noi. Nell’Italia di oggi i giovani di «Futura» «Amo molto la letteratura russa e il cinema russo ma non pensavo di realizzare un film da questo romanzo. Dopo Futura (2021) ho vissuto due anni in Francia per ragioni famigliari, è stato il produttore Charles Gilbert a propormelo. Mi piaceva la figura di Grin, un dissidente reietto, e il rapporto tra il padre e la figlia al centro del romanzo, era un modo per sperimentare nuove avventure cinematografiche. È stato un percorso lungo, non tanto nella scrittura che è andata avanti abbastanza velocemente, con Braucci e Maud Ameline abbiamo cambiato molto del libro. Il film ha poi seguito i suoi itinerari ma venendo dal documentario sono abituato all’imprevisto» dice Pietro Marcello. Una libertà che hanno vissuto i protagonisti accanto a lui, entrambi magnifici, Juliette Jouan – trovata come dice Marcello in un «casting selvaggio» – e Raphaël Thiery. Il regista ha sottolineato più volte la completa indipendenza che ha lasciato loro per i personaggi – nel cast ci sono anche Louis Garrel, Noemie Lvovsky, Yolande Moreau.
Pietro Marcello
Volevo un contrappunto per evitare l’accademismo del film storico, lo abbiamo creato usando la macchina a mano. Era come una danza, abbiamo danzato per tutto il film

Che scelte avete fatto rispetto al testo di partenza nella scrittura? Se infatti il racconto sembra più concentrarsi sulla figura del padre, qui il movimento narrativo passa nel corso degli anni dal suo personaggio a quello della figlia.

Abbiamo distrutto il «principe azzurro» che nel libro arrivava per portarla via. Il ragazzo che incontra – Louis Garrel – è per me un uomo moderno, qualcuno che fatica a trovare il suo posto nel mondo rispetto al quale lei conserva una indipendenza. L’envol è un film sul matriarcato, e al tempo stesso è una storia che potrebbe accadere ovunque, anche in Calabria, perché parla appunto di un padre e di una figlia e di una comunità di marginali. Anche quella realtà, che è già nel libro, mi aveva colpito; è un po’ come una famiglia allargata composta dagli esclusi del villaggio. Spostare il punto di vista da una sola figura, quella paterna, a una relazione è stato un passaggio complesso: noi avevamo in mente tre atti, il primo sul padre, il secondo su loro due con lei bambina, il terzo solo su di lei.

Juliette Jouan è una rivelazione, ancora di più se si pensa che è al suo primo ruolo. Come l’hai scoperta?

Abbiamo visto migliaia di ragazze in giro per tutta la Francia che avevano risposto all’annuncio del casting, recitava che ne cercavamo una di vent’anni che sapesse suonare e cantare. A un certo punto mi è arrivato il video di Juliette in cui lei suonava con un’aria un po’ annoiata. Ho sentito subito che era la persona giusta per il ruolo, poi è stato suo padre a spingerla a partecipare. Ha portato moltissimo al film e al proprio personaggio. Anche per trovare Raphaël Thiery abbiamo cercato a lungo, avevo in mente qualcuno con una fisicità eccezionale, è stato il mio produttore a propormelo e quando l’ho visto ho capito che era lui.

Attraverso la loro vicenda, che avete trasportato negli anni dopo la prima guerra mondiale, affiora anche l’immagine di un mondo che si trasforma.

Il padre di Juliette è un falegname, intaglia giocattoli e grazie a loro c’è un confronto con la realtà e con le sue trasformazioni: a un certo punto nessuno li vuole più di legno, i bambini cercano i giochi elettrici… Rispetto ad altri film ho utilizzato molto meno gli archivi, ce ne sono pochissimi. Non c’è stato tempo, in Italia so dove cercare, ci sono le persone che abitualmente se ne occupano, ma in Francia era troppo complicato.

Quali sono state le ispirazioni nell’immagine, che è attraversata da diversi generi, la storia contadina, la commedia musicale.

Io sto in macchina altrimenti mi sento nullo. Qui ho lavorato in stato di grazia con Marco Graziaplena, il direttore della fotografia; mi ha seguito nel mio metodo, volevo un contrappunto per evitare l’accademismo del film storico, e lo abbiamo creato usando la macchina a mano. Era come una danza, abbiamo danzato per tutto il film. Per le musiche mi sono affidato a Gabriel Yared, è stata un’esperienza nuova e fondamentale. Gabriel ha accompagnato il progetto fin dall’inizio, è un grande compositore contemporaneo.

Nel finale Juliette canta «L’Hirondelle», una poesia di Louise Michel, l’anarchica che era anche in «Martin Eden», e così i due film sembrano dialogare.

L’Hirondelle l’abbiamo trovata in un libro per caso sul set e Juliette ha creato una canzone, è un esempio di quell’aspetto alchemico del cinema che mi piace. Rispetto a Martin Eden questo è un film femminile, per me è una novità, è una donna il riferimento e la voce della narrazione.