Insieme a Christian Laval, Pierre Dardot ha contribuito a trasformare l’interpretazione del neoliberalismo nei termini di una strategia politica che accomuna liberali e populisti. In opere come La nuova ragione del mondo, Del Comune o Dominer, un’imponente inchiesta sulla «sovranità dello Stato in Occidente» non ancora tradotta, sostengono che il neoliberalismo è una politica che trasforma sia la soggettività che le istituzioni ed è fondata su una teoria del ruolo dello Stato che si oppone sia al laissez-faire che alla pianificazione. Abbiamo intervistato a Roma il filosofo francese in occasione della presentazione del libro collettivo La scelta della guerra civile. Un’altra storia del neoliberalismo (Le choix de la guerre civile, Lux éditeur, con Haud Guéguen, Pierre Sauvêtre e Christian Laval) alla Casetta Rossa in un incontro organizzato dalla Libreria Stendhal di Roma.

Nel libro si racconta come si è formata l’alleanza tra il neoliberalismo e le destre di Trump, Bolsonaro, Orban o Salvini. Perché parlate di «guerra civile»?
Per guerra civile normalmente si intende qualcosa che oppone due campi: la guerra di secessione negli Stati Uniti per esempio. Noi l’abbiamo intesa come un modo per mettere la società e il popolo contro se stessi. L’ascesa del neoliberalismo nazionalista della destra radicale è avvenuta praticando un conflitto contro l’uguaglianza, i migranti, i soggetti delle differenze sessuali in nome di una libertà individuale e d’impresa. È avvenuta usando gli strumenti dello Stato, del diritto e della legge anche se può ricorrere a una repressione brutale. Ha sfruttato il risentimento delle classi popolari contro la sinistra che, dagli anni Ottanta in poi, ha condotto la stessa guerra, in contesti diversi, aderendo ai principi neoliberali.

Cosa ha pensato quando Macron e altri governanti hanno detto di essere in guerra contro il virus?
Ho pensato che il virus è diventato un pretesto per continuare la guerra civile con altri mezzi. Quello che è notevole nel neoliberalismo è che è molto rapido nel strumentalizzare le crisi e mettere in atto politiche prima marginali. L’estensione del telelavoro, ad esempio. Oppure nella sanità. Prima è stato detto che sarebbe stata valorizzata dopo anni di tagli. Negli ospedali in Francia oggi c’è una crisi terribile: il personale si dimette. La logica del governo è sempre la stessa ed è peggiorata. Nella pandemia sono state prese decisioni in contraddizione con le esigenze più elementari della democrazia. Macron si è posto in maniera marziale e autoritaria e ha considerato i cittadini come una minoranza a cui dare ordini. Ha creato un consiglio di difesa sanitaria dove tutti gli strumenti legislativi sono centralizzati, approfittando di una costituzione estremamente presidenzialista.

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Si è parlato di un ritorno dello Stato. Ma che tipo di Stato è «tornato»?
Uno Stato che ha interiorizzato le regole del mercato e lo sostiene in maniera eccezionale in casi di crisi. È uno Stato che interviene stanziando moltissimi miliardi mentre solo pochi mesi fa dicevano che era impossibile. Il fatto che lo Stato abbia finanziato l’economia non significa che sia stata rimessa in discussione la logica con la quale è stato gestito fino ad oggi. In Francia Macron ha annunciato il progetto di una politica di revisione delle politiche pubbliche che fissa una cifra assoluta all’inizio della legislatura. Il suo auspicio è che il parlamento la voti e resti in vigore per cinque anni. Così qualunque sia il bisogno della società, questa somma non potrà essere superata. Questa è una forma di costituzionalizzazione del mercato tipica del neoliberalismo.

Qual è l’elemento che accomuna i diversi tipi di neoliberalismo?
In ogni paese la situazione è diversa. Questo è molto importante da dire perché a sinistra c’è la tendenza a considerare il neoliberalismo come un fenomeno unico. Esistono invece strategie differenti adattate localmente. Questa è la ragione per cui le correnti neoliberali hanno caratteristiche diverse. Ciò che però le accomuna è l’accentuazione dell’autoritarismo nel modo di governare e una tendenza a imporre una logica di governo che sottrae l’orientamento delle politiche economiche e sociali alla deliberazione pubblica.

Oggi la politica è spiegata come un conflitto tra una democrazia liberale e una illiberale. La ritiene una distinzione attendibile?
No, è una messa in scena. Non sto dicendo che non esistono divergenze tra liberali e illiberali, ma penso che siano d’accordo nel mettere in discussione i fondamenti della democrazia. A chi si oppone alla «democrazia illiberale» alla Orbán bisogna ricordare che una democrazia liberale presuppone almeno la divisione dei poteri, una divisione che è presa a calci da Macron in Francia. Esiste una tendenza comune a considerare gli altri, i cosiddetti «illiberali», come autoritari o populisti, e a presentarsi come liberali contrari al nazionalismo. Ma questi «liberali» sono i primi a cantare ritornelli molto nazionalisti e a situarsi sul terreno della destra quando gli conviene.

Che spazio ha una sinistra, se una sinistra può esistere, nel gioco di specchi tra liberisti, progressisti o sovranisti?
Si deve comprendere che il neoliberalismo è una strategia che satura lo spazio politico, cancella le alternative e canalizza la protesta verso soluzioni che non sono in rottura con lo status quo. Il nazionalismo concorrenziale e il modernismo progressista praticano in maniera diversa la stessa politica. Quando tra gli anni Venti e Trenta del XX secolo è stata creata la teoria neoliberale i suoi sostenitori si ispiravano all’idea di Ortega y Gasset della tirannia delle masse. Oggi questa idea non ha più corso. Si denuncia il rischio di un ritorno dell’estrema destra, ma la situazione è molto diversa dal tempo del nazi-fascismo. Le destre più dure, quelle più votate perlomeno, non hanno il culto dello Stato e sono subalterne alla logica dell’impresa. La sinistra deve sganciarsi da queste trappole e non deve continuare a cadere nell’errore di appoggiare un campo del neoliberalismo contro l’altro. Deve presentare un’alternativa reale basata sulla politica del Comune.

Questi non sono processi nuovissimi, perché la sinistra non li ha ancora capiti e non pratica questa politica del Comune?
Sì è vero, è una politica ancora minoritaria, ma bisogna restare lucidi. Il problema è capire come espanderla contro le varianti del neoliberalismo che si appoggiano sulla sovranità dello Stato. La logica della sovranità è centrata, quella del Comune è decentrata e polimorfa. Bisogna però che le sperimentazioni che si conducono si coordinino e non siano accentrate. Spesso esistono sperimentazioni promettenti ma che restano isolate. Non si conosce quello che accade nei paesi vicini. Una sinistra preoccupata di una vera alternativa dovrebbe aumentare lo scambio delle esperienze e favorirne il coordinamento. Per ora c’è una segmentazione tra le lotte su temi specifici.

Si parla di «convergenza delle lotte». È una prospettiva praticabile?
Mi sembra una nozione insufficiente. Noi proponiamo quella di trasversalizzazione delle lotte. È una questione posta dai movimenti femministi e va ripresa direttamente da altri movimenti in altri settori. Senza tutto ciò, favoriamo la separazione.

Dov’è messa in atto questa idea di politica?
In Cile ad esempio. Ho avuto la fortuna di trovarmi li nel novembre del 2019, quando una rivoluzione popolare ha sostenuto le rivendicazioni femministe e quelle dei Mapuche. Tutto quello che era stato nascosto dal colpo di Stato nel 1973 è tornato alla luce. C’è stata una trasversalità tra rivendicazioni, non una semplice giustapposizione. Ci sono stati risultati anche sul piano elettorale. Alla Costituente sono stati eletti molti attivisti del movimento del 2019 e il voto delle donne è stato decisivo. I popoli nativi hanno ottenuto un’ampia rappresentanza. Penso sia una lezione straordinaria di cui la sinistra dovrebbe fare tesoro al di là del Cile. Una rivoluzione popolare contro il neoliberalismo, senza leader, fatta dal basso, dalle assemblee di quartiere che sono riuscite a durare anche in piena  pandemia e in condizioni terribili.

 

SCHEDA

Pierre Dardot è filosofo e ricercatore all’università di Parigi Nanterre. Con Christian Laval, docente emerito di sociologia nella stessa università, ha pubblicato «La nuova ragione del mondo», «Del Comune o della rivoluzione nel XXI secolo», «Il potere ai soviet», «Guerra alla democrazia», pubblicati nel nostro Paese da DeriveApprodi. Nel 2020 Dardot e Laval hanno pubblicato «Dominer. Enquête sur la souveraineté de l’Etat en Occident» (La Découverte). Insieme hanno scritto anche «Marx, prénom: Karl» (Gallimard). Il libro collettivo «Le Choix de la guerre civile. Une autre histoire du néolibéralisme» (Lux) è il frutto del lavoro seminariale del Groupe d’études sur le néolibéralisme et les alternatives (Gena).