Dice e suona cose belle, Bobo. Nascoste dietro un ciuffo che scende a sipario sugli occhi e lui ogni tanto soffia via. Rondelli Bobo, nato a Livorno nel quartiere popolare di Rondino, dove continua a vivere. Un quarto di secolo di musica scritta, cantata e vissuta come pare a lui. Concerti che non di rado lo vedono solitario in scena, arrampicato su uno sgabello, la chitarra a portata di mano e accanto un boccale di birra. Un brano dietro l’altro, magari interrotto da discorsi e considerazioni poco disposti a concedersi al filo della logica. E la voce che all’improvviso parodia quella di Marcello Mastroianni, o si fa rauca e potente per restituire al pubblico Guarda che luna di Fred Buscaglione.

Livorno, terra di anarchia, genera figli così, gente in cammino lungo una strada priva di segnaletica convenzionale, di codici restrittivi, di un punto di arrivo preciso. A loro apparteneva Piero Ciampi, che dal mondo si è congedato presto, lasciando il riflesso della sua presenza nella malattia inguaribile delle parole e della musica. Bobo, intorno ai venticinque anni, conosce Piero. Lui è già diventato assenza, memoria di un lucido vagabondo dentro la città e il giorno dopo da un’altra parte, lontano, a condurre la stessa vita, consapevole delle sue sconfitte, braccia mai alzate in segno di resa. Da quell’incontro virtuale eppure forte germoglia piano, dentro Rondelli, l’idea di prendersi Ciampi, portarselo dentro, cantarlo ai concerti e poi riversarlo nelle tracce di un lavoro musicale che solo una definizione affrettata potrebbe relegare nella categoria delle cover. Quel lavoro è uscito nelle scorse settimane, un doppio cd con libretto, produzione Picicca/The cage,, distribuzione Sony Music, e si intitola semplicemente Bobo Rondelli canta Piero Ciampi.

Il primo dei due dischi mette in fila i sedici brani registrati dal cantautore al Nuovo Teatro delle Commedie di Livorno nel novembre 2015, insieme Fabio Marchiori, tastiere, e Filippo Ceccarini alla tromba. Il secondo è un’antologia di diciannove (in) successi di Piero proposti dalla sua voce. Non basta certo una città in comune per decidere di eleggere un artista ad anomalo alter ego, per costruire una sorta di simbiosi simile per certi aspetti a uno sdoppiamento. Bobo soffia e il ciuffo si alza, scoprendo un sorriso cui è difficile conferire un carattere preciso: ironico, cinico, armato di una certa tenerezza? Ma com’è che sei arrivato a Ciampi?

«Prima di tutto ho calpestato fin da bambino i marciapiedi che lui calpestava. Sono di Livorno e quindi capisco fino in fondo certi artisti legati profondamente alla loro terra. Piero si è inventato un suono tutto suo, molte volte è sfuggito alla sua livornesità nel modo di vivere. Un modo di vivere in cui ti puoi riconoscere, con figli, separazioni e altri problemi. Ho avuto voglia di cantare le canzoni di Piero Ciampi anche perché non esiste, né credo esisterà mai, un Jim Morrison in Italia. Vasco Rossi è sempre vincente e vivo, no? Ciampi rifiutava i compromessi. Vista da un’altra prospettiva, la mia, se vuoi, potrebbe costituire una scelta rischiosa: ritrovarmi a seguire una sorta di martirio».

Che differenza c’è, cosa provi, nel proporre un tuo brano o il brano di un altro? «Demetrio Stratos degli Area diceva ‘Un mitra è un contrabbasso che ti spara sulla faccia’. Io sparo facendo entrare una specie di anima omosessuale dentro di me, accogliendo Mastroianni, Buscaglione e altri. Non imito, sparisco. Ed è logico che sia così, che l’artista e il suo ego spariscano se la musica è bella, se l’intonazione è giusta. Penso di essere un cacciatore di racconti scovati per vincere la mia predisposizione alla noia e alla pigrizia. Una predisposizione, però, che porta alla curiosità».

Bobo Rondelli prosegue intanto nel suo lungo tour, le prossime date sono il 14 aprile a Siena (Teatro dei Rinnovati), il 15 a Treviglio (Teatro Nuovo), il 16 a Terranuova Bracciolini (Auditorium Le Fornaci) e il 29 a Massa (Teatro Guglielmi).