Taro Miura è l’illustratore giapponese che conosciamo per i suoi «workmen», quel pullulare di omini indaffarati che vanno aiutati nelle loro attività dal lettore di turno. I suoi albi sono arrivati in Italia con l’editore Corraini, riscuotendo sempre un grande successo tra i più piccoli grazie alla grafica «minimal» e dal sapore costruttivista. Taro Miura, nato nella prefettura di Aichi nel 1968, è presente alla Fiera della letteratura per ragazzi di Bologna come giurato per la Mostra degli illustratori 2016 e come «ospite» nella rassegna che celebra i 50 anni della Mostra, dal titolo Artisti e capolavori dell’illustrazione.

Come procede la sua giornata creativa? Ha un modo particolare di mettersi al lavoro, «trucchi» per accalappiare le idee?
Quando ero bambino, non riuscivo mai ad alzarmi presto la mattina. Non esagero se dico che faccio questo lavoro proprio perché non voglio alzarmi presto.
Perciò quando mi sveglio, rimango per un’ora a giocherellare con la tazza del caffè in mano senza fare niente, con la mente ancora annebbiata. Paradossalmente, è proprio in questi momenti che mi piovono addosso le idee nuove. È un fatto veramente misterioso. Nell’ora di pranzo mi trasferisco nel mio studio, e man mano gli ingranaggi cominciano a muoversi. Quando me ne accorgo sono le sette di sera, torno a casa e ceno con la famiglia. Di recente, prima di dormire, guardo i vecchi film giapponesi degli anni ’50 e ’60. Anche a me sembra strano vivere in questo modo, ma la mia esistenza degli ultimi vent’anni si è svolta più o meno così.

C’è qualcosa di importante per lei da evidenziare nel campo dell’illustrazione per ragazzi?
Credo sia meglio dare priorità a ciò che vuoi creare, anziché pensare troppo al fatto che deve essere un’opera adatta ai bambini. Saranno loro stessi a decidere se piace o no. L’unica cosa che io vorrei dire ai lettori è di crescere e vivere sani, senza dimenticare mai ciò che uno sente nel cuore quando è bambino.

Negli ultimi suoi libri, non ci sono più solo arnesi da lavoro e operai, ma anche grandi opere d’arte: Matisse Picasso e Michelangelo. Come mai questa «deviazione» verso l’arte?
I libri illustrati che pubblico in Italia hanno come tema il lavoro. Mentre disegnavo i diversi movimenti dell’uomo, mi sono accorto che la forma umana è molto semplice e che la si può disegnare utilizzando pochissimi elementi. Sarebbe stato un peccato lasciare quest’idea racchiusa dentro un albo illustrato: mi è venuto in mente di applicarla al mondo della pittura. Sarei molto felice se quelle opere diventassero un modo per avvicinare i più piccoli al mondo dell’arte.

Quali sono gli artisti, anche giapponesi, che l’hanno ispirata di più nel suo percorso?
Il mio interesse è stato risvegliato dalle opere di pop art che ho visto quando ero liceale. Poi, durante l’università sono stato influenzato da Tadanori Yokoo, ma negli anni in cui ho iniziato a realizzare libri illustrati, mi sono ispirato alle avanguardie russe degli anni ’20.