Negli ultimi decenni la storiografia ha cercato di tracciare la storia degli esclusi, di coloro che con difficoltà hanno fatto sentire la propria voce. Coloro che il linguaggio medievale definirebbe come pauperes, nel senso non semplicemente dei «poveri», ma anche e soprattutto dei marginali, dei subalterni, dei deboli, degli indifesi. In un certo senso la stessa storia delle donne, che non può essere ridotta ad alcune fra queste categorie, si è affermata nel medesimo movimento di rinnovamento, in quanto (sia pure con le debite e importanti eccezioni) le voci femminili sono state spesso filtrate attraverso quelle maschili.

FRA TUTTE QUESTE CATEGORIE, quella dei bambini non è la più ovvia, ma è di fondamentale importanza: certo le loro voci non ci arrivano mai direttamente dal passato, anzi generalmente non arrivano neppure filtrate da quelle altrui. Spesso si fatica a riconoscere l’identità del bambino dei secoli più lontani, quando l’età adulta comincia presto, l’adolescenza non esiste, e le fonti non prestano particolare attenzione ai giovanissimi, vittime di una mortalità infantile diffusa e comune, al punto da essere a stento registrata.
Si tratta insomma di una realtà difficile da indagare, verso la quale comunque sono stati fatti molti passi in avanti, a partire dal classico studio di Philippe Ariès sull’infanzia e la vita familiare. Aperta quella strada, altri l’hanno imboccata, prevalentemente nel mondo anglosassone: ricordiamo almeno gli studi di Lawrence Stone e di Barbara Hanawalt, entrambi soprattutto in relazione all’Inghilterra medievale e moderna, e più in generale quelli di Nicholas Orme; o ancora il bello studio del pioniere John Boswell sull’abbandono dei bambini in Europa occidentale.

A PARTE QUEST’ULTIMO, però, tradotto in Italia nel 1991, da noi la tematica non ha incontrato lo stesso interesse. Arriva a colmare questo vuoto lo studio di Marco Bartoli, Santa innocenza. I bambini nel Medioevo (San Paolo, pp. 320, euro 20), un’accurata ricerca sulla concezione e la pedagogia dell’infanzia attraverso autori come Agostino, Ambrogio, Anselmo di Canterbury, Tommaso d’Aquino; un quadro eloquente di come si vada costruendo nel pensiero cristiano un ruolo a se stante per il bambino, che lo sottrae anche ai topoi dell’agiografia, che vuole il futuro santo o santa già tale fin dalla più tenera infanzia; e questo non soltanto per i più lontani secoli altomedievali, ma anche per periodi successivi, come si vede bene per esempio dalla figura di Chiara di Montefalco attraverso la lettura che ne ha dato Marino Pagano in una recente, sobria biografia (Chiara da Montefalco, Fede & Cultura, pp. 82, euro 14).

SI POSSONO CONTRAPPORRE tali stereotipi di santità al racconto autobiografico di sant’Agostino, ricco di una capacità d’introspezione che va al di là del giudizio sulla sua assoluta veridicità. Un capitolo importante è costituito dalla visione francescana dell’infanzia; e d’altra parte Marco Bartoli è un grande esperto della storia dell’Ordine e del suo fondatore.
È chiaro che nemmeno l’autore può far miracoli e far parlare i piccoli protagonisti della storia che non hanno avuto mai una voce loro: eppure, attraverso le pagine di Santa innocenza abbiamo se non altro la possibilità di comprendere come matura una concezione dell’infanzia e della sua peculiarità, di conseguenza della pedagogia e del ruolo che la società assegnava ai bambini.

Non è qualcosa che si esaurisce certo nel medioevo se, come ricorda Franco Cardini nella prefazione, Jean-Jacques Rousseau poteva confessare senza apparente rimorso che i suoi cinque figli li aveva sistemati tutti in un rifugio per bambini abbandonati, l’Hôpital des Enfants-Trouvés di Parigi, non volendoli a suo carico; si può aggiungere, proprio sulla scorta degli studi di Boswell e altri, che questo all’epoca significava consegnarli alla morte quasi certa, date le condizioni in cui venivano allevati; e che Rousseau stesso era orfano di madre e aveva avuto un’infanzia difficile.

IL LIBRO di Marco Bartoli ci pone, sia pure in modo indiretto, dinanzi al problema di come fondiamo, attraverso la concezione e il trattamento dell’infanzia, la nostra stessa società. Un tema che va ben oltre il solo medioevo, che a partire dalla psicanalisi ha avuto enorme sviluppo nel corso del Novecento, ma che come detto stenta per l’oggettiva difficoltà ad acquisire la stessa ampiezza per i secoli passati. Grazie a Santa innocenza. I bambini nel Medioevo possiamo dire di saperne oggi molto di più.