Qualche progresso c’è stato, ma l’inquinamento dei mari europei continua ad essere un problema di larga scala. L’ultimo report dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) Contaminants in Europe’s Seas pubblicato il 15 maggio scorso, lascia intravedere qualche spiraglio, ma è perentorio nell’affermare che serve un deciso cambio di passo per raggiungere l’obiettivo della decontaminazione. La condizione dei mari europei rimane «problematica» nell’85% delle 1.541 unità di rilevamento, con valori differenti tra varie regioni: se il Mar Baltico è quello che presenta le maggiori criticità (nel 96,3% delle unità) anche per le sue caratteristiche fisiche (bassa profondità e bassa salinità), il Mediterreano è in uno stato leggermente migliore (87,3%), anche se il monitoraggio delle zone in mare aperto è molto limitato e quindi poco significativo, e – dato allarmante – il trend è negativo. Nell’Atlantico del Nord-Est le aree problematiche sono inferiori, il 75%, mentre nel Mar Nero sono il 90,8%.

I progressi nella qualità delle acque rilevati nei quattro mari sono evidenti per i livelli di alcuni contaminanti messi al bando o limitati ormai da diversi anni (DDT; metalli pesanti, in particolare, mercurio, cadmio e piombo; gli idrocarburi policiclici aromatici prodotti dalla combustione degli idrocarburi; i composti organostannici, usati come agenti antivegetativi nelle vernici; i bifenili polibromurati, usati come ritardanti di fiamma). Secondo gli esperti della EEA questo miglioramento «potrebbe essere l’effetto diretto delle regolamentazioni» messe in campo dall’UE e dagli Stati Membri. Simili risultati sono stati rilevati anche in fiumi e laghi.

Per quanto riguarda gli sversamenti di petrolio nel mare, questi sono ai minimi storici nelle acque del Mar Baltico, grazie ad una severa attività di regolamentazione del traffico. Tuttavia, dal costante monitoraggio dei mari emergono anche quelle che vengono definite novel entities, nuove sostanze immesse nell’ambiente: si calcola che negli ultimi 50 anni ogni 2,5 minuti sia stata creata una nuova sostanza chimica. Delle 150mila sostanze chimiche in commercio solamente un migliaio sono monitorate, quindi restano ampie zone di incertezza. A questo si aggiunga che l’Europa dal 2000 al 2015 ha triplicato l’importazione di beni anche da paesi dove le regole ambientali sono meno restrittive.

Quel che è già certo è che i principali obiettivi indicati in vari documenti, dalla Convenzione di Barcellona del 1976 per la decontaminazione del Mediterraneo alla Direttiva quadro della strategia marina del 2008, entrambi fissati per il 2020, non saranno raggiunti.

Alla radice del problema, sta, secondo EEA, «l’attuazione lenta e debole» degli interventi rispetto all’enorme volume delle sostanze persistenti immesse nell’ambiente. La conclusione del rapporto indica alla Commissione UE che non servono nuove politiche tematiche o iniziative legislative, ma l’attuazione rigorosa di quelle attuali e una transizione verso nuovi modelli di produzione e consumo, in Europa e non solo.