Ospite al Festivaletteratura di Mantova, Teju Cole torna nel nostro paese a un anno da Città Aperta (Einaudi 2013, già vincitore di numerosi premi, dal PEN/Hemingway Award al New York City Book Award) con Ogni giorno è per il ladro che ha per protagonista collettivo un’altra metropoli contemporanea, Lagos, attraversata, rivissuta e rimeditata da un narratore outsider che vi fa ritorno dopo quindici anni di lontananza.
Se in Città Aperta il protagonista Julius, studente in medicina di origine nigeriana-tedesca, posava il suo guardo alienato e al tempo stesso sofisticato su New York, qui è la smisurata megalopoli nigeriana ad essere attraversata con tutti i mezzi, in autobus, in auto e soprattutto a piedi, lasciando trasparire da ogni angolo e ogni incontro una dilagante e ufficializzata corruzione sistematica e una pressoché totale assenza della legge, ma anche un’anima pulsante e brulicante di vita, storie e personaggi.
Per ammissione dell’autore, la Nigeria di Teju Cole è una nazione che ignora la propria storia, ma il protagonista/flâneur di Ogni giorno è per il ladro ne respira l’essenza a pieni polmoni, lui stesso dirà che a Lagos «l’aria è densa di storia» e la sua attenzione per la gente e le idee lo rendono poroso, pronto ad assorbire una miriade di storie e a ritrasmetterle, spesso senza filtri.
Cole, fotografo, critico d’arte e scrittore cresciuto a Lagos e trasferitosi negli Stati Uniti nel 1992, si definisce un «americano eccentrico» e rivendica una nuova libertà di scrivere dopo l’11 settembre, unita alla constatazione che simili traumi catastrofici non siano nuovi per la/le città in cui vive, basti pensare allo sterminio dei nativi americani, alla schiavitù e al colonialismo. Sono queste sofferenze storiche sedimentate e spesso rimosse dalla «dimenticanza urbana contemporanea» che riaffiorano nelle sue opere in una quasi assenza di trama, tramite una voce evocativa e talora malinconica che medita su storia e cultura, identità e solitudine e in cui la città funziona come grande palinsesto continuamente cancellato e riscritto. (Significativo, in questo senso, l’esperimento di Cole rinominato «small fates» che consisteva nel twittare ogni giorno una notizia letta sulle cronache locali, «piccoli destini» di persone ordinarie della Nigeria contemporanea, conflitti e tragedie per lo più senza possibilità di scampo.)
Ogni giorno è per il ladro (scritto in realtà per primo nel 2007, ma pubblicato sinora solo in Nigeria), oscilla continuamente tra appartenenza e non-appartenenza, fluttua tra nostalgia, amore e rabbia in una serie di peregrinazioni, di frammenti ed episodi, intramezzati dalle diciannove fotografie che l’autore stesso ha scattato a sette anni di distanza, nel 2013, come altrettante istantanee di un mondo sfaccettato e non riconducibile a verità assolute ed interpretazioni univoche. Il ritorno alla nativa Nigeria sancisce la presa di coscienza dell’impossibilità del «ritorno a casa», raccoglie storie di esilio, segna un viaggio epico nella vita moderna dell’Africa.
«Le cose accadono ma in modo sotterraneo, fuori scena, o forse in un’altra dimensione che non è quella della superficie della narrazione – afferma Teju Cole – Come scrittore di fiction è strategico, per me, lasciar fuori dalla pagina alcune informazioni che sta al lettore ricostruire. Credo che il romanzo come genere venga oggi ampiamente sopravvalutato e, in qualità di lettore, non amo quegli autori che svelano tutto per filo e per segno sui loro personaggi e storie; preferisco, piuttosto, quelli che commettono omissioni strategiche e trovano maniere di evadere ed eludere i confini del genere. Ci sono senz’altro altri modi interessanti di raccontare la realtà che ci circonda – la tv ad esempio – e alcuni producono anche opere di ottima qualità, ma a differenza della televisione, che è più narrativa e dinamica, la fiction permette un’intimità e un’attenzione al dettaglio che non si potrà mai raggiungere sullo schermo. Un libro che ti accompagna per vari giorni può veramente entrare sottopelle e sintonizzare i tuoi sensi con la sua realtà al cento per cento!».
In bilico tra memoir, diario, romanzo, racconto di viaggio e saggio, le opere di Cole rifiutano di conformarsi a un genere preciso. Le sue moderne meditazioni sulla città di New York e Lagos e sui loro fantasmi richiamano alla mente il James Joyce di Ulysses ma anche di The Dead, passando per i Lonely Londoners di Sam Selvon e, ancor più, alle contemporanee Parigi di Mabanckou e le inquietanti quanto pullulanti di vita Lagos e Londra di Chris Abani, autore di Graceland, che definisce Ogni giorno è per il ladro un libro sorprendentemente ibrido, originale, sperimentale e sensuale.
Ma Cole si sente parte di quella nuova generazione di scrittori della diaspora comunemente definiti «afropolitani», da Taiye Selasi a Chimamanda Ngozi Adichie, solo per citarne i più noti? «Una cosa sono le mode e il mercato, altra sono gli individui che hanno una loro esperienza personale più complessa e i loro gusti, delle affinità e preferenze soggettive e irripetibili – spiega l’autore -. Come individuo e lettore di origine africana sono ovviamente molto interessato all’Africa, alla sua cultura e ai suoi scrittori: Soyinka è senz’altro uno dei miei maestri e conosco le più giovani generazioni e le ammiro, ma come scrittore e creativo mi situo in una comunità più vasta di artisti e scrittori, leggo molta più poesia che prosa e tra i miei miti ci sono Derek Walcott e Seamus Heaney, ma per me sono stati molto importanti anche Calvino, Primo Levi e Montale. E soprattutto per la mia arte le influenze maggiori non sono altri scrittori: oltre che dal mondo che mi circonda, traggo ispirazione dalla musica, dalla fotografia e soprattutto dal cinema.
Fellini ha avuto un impatto fondamentale sul mio lavoro e penso sempre a lui quando scrivo. Otto e mezzo è uno dei miei film preferiti e Marcello Mastroianni è uno dei miei idoli. Proprio come i miei personaggi, Guido è un protagonista che si muove tra una miriade di esperienze organicamente collegate che gli ruotano attorno. Spero di avere successo in Italia perché questo è il paese che ha dato al mondo Antonioni, e lì non succede proprio niente!»