Ha sollevato polemiche da tassa sul macinato l’ipotesi di inserire, nella prossima legge di bilancio italiana, micro-prelievi su bibite gassate e merendine e una piccola imposta di scopo sui voli aerei. Eppure, clima oblige. Tanto più che spesso l’impatto ambientale e sociale di un prodotto è inversamente proporzionale al suo prezzo, il che non aiuta il cambiamento.

Secondo uno studio pubblicato su Lancet Diabetes & Endocrinology, il consumo di bevande gassate è in aumento nel mondo, proprio fra le classi meno abbienti e nei paesi a basso e medio reddito, che subiscono dunque anche questo danno, individuale e collettivo. E’ lo stesso per i vari tipi di alimenti industriali fortemente zuccherati – o con troppo sale oltre ai vari additivi di sintesi – e scarsamente nutrienti. Sapore, comodità e prezzo basso: un’attrazione fatale.

I costi sanitari del cibo malato (bevande comprese) sfiorano il 3% del prodotto interno lordo (Pil) mondiale. Malgrado la potenza dei produttori globali e del resto della filiera, in vari paesi si stanno attuando forme di intervento pubblico: etichette nere sulle confezioni e divieto di gadget allegati ai cibi per bambini in Cile, divieto di vendita intorno alle scuole in Corea del Sud, e appunto, in Messico, Sudafrica, paesi scandinavi, vari tipi di tasse. Certo queste ultime, soprattutto se di piccola entità, non bastano: i loro effetti in termini di riduzione dei consumi svaniscono rapidamente se non accompagnati da altri sforzi. Del resto, il tabacco insegna.

Il clima c’entra eccome. Qualche mese fa, alcune agenzie dell’Onu fra le quali la Fao hanno dedicato una conferenza al cibo malsano come filo nero di una sindemia, compresenza di tre pandemie mondiali: obesità, sottonutrizione, e appunto cambiamenti climatici. L’impronta carbonica del ciclo di produzione, commercializzazione e consumo di questi non-alimenti è collegata al loro zaino ecologico – così si chiama l’indicatore elaborato dal Wuppertal Institute molti anni fa per misurare il peso ambientale di un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita, comprendendo le materie prime e l’energia necessarie ma anche i rifiuti generati. Merendine in senso lato e bibite gassate, ma anche l’acqua in bottiglia, comportano molti passaggi industriali, una pletora imballaggi usa e getta (in plastica, alluminio, banda stagnata, poliaccoppiati, vetro), viaggi da giro del mondo in genere su gomma, produzione di rifiuti che quand’anche riciclati sono comunque una perdita di materia ed energia. E tutto questo per contribuire all’obesità, al diabete e a malattie cosiddette moderne.

Quanto al trasporto aereo, che va a cherosene, è fra le fonti di gas climalteranti che crescono più rapidamente. La leva fiscale gioverebbe – e, anche qui, non verrebbero danneggiati i più poveri del mondo: l’80-90% degli abitanti del pianeta non è mai salito su un aereo. Secondo un rapporto della Commissione Ue del 2018, una tassa di 0,33 euro al litro sulle vendite di carburante avio in Europa potrebbe ridurre dell’11% il traffico aereo e le relative emissioni, intanto incentivando l’efficienza nelle operazioni e nei velivoli. Diversi paesi al mondo – ma solo sette nell’Ue -, applicano già ecotasse sui biglietti. Ma, come non si stanca di ripetere l’organizzazione specializzata Transport & Environment (si legga la sintesi How to tax aviation to curb emissions, luglio 2019), è fondamentale la tassazione del jet fuel, sia per i voli all’interno dell’Ue (il che richiede accordi bilaterali, nel quadro della direttiva sulla tassazione energetica) sia per quelli intercontinentali. Ma per questo occorre un negoziato globale.