La storia che qui si racconta riguarda una piccola città italiana, ma può essere tipica anche di altre. Lucca.

Poco meno di 90mila abitanti, con una provincia che comprende zone come la Garfagnana (dove governò Ludovico Ariosto) e la Versilia, che fa un po’ storia a se. Storicamente, una città bianca, democristiana, con sfumature di nero a tratti anche intense. Ma si respirava aria nuova a Lucca, con l’elezione di un sindaco di centro sinistra supportato anche da settori della superstite estrema sinistra cittadina. Brava persona, ex professore e contadino, sfiora il 70% al ballottaggio, “Per la prima volta la città ha un sindaco che non è espressione dell’aristocrazia dirigente né del mondo politico cattolico di origine democristiana”, scrisse a maggio del 2012 il giornale locale online.

Una svolta epocale, per una piccola città di provincia, mosca bianca della rossa (ormai rosino spento) Toscana. Un percorso poi, quello del sindaco, piuttosto dal basso, con incontri, assemblee, persino l’impegno diretto di esponenti della sinistra plurale, talvolta ricompensati con poltrone – naturalmente nulla di male, la politica si fa anche nelle istituzioni. Però la si fa anche fuori. La si fa con i beni comuni, per esempio. Allora capita che la scorsa estate un gruppo di soprattutto giovani ma non solo – visto che la categoria “giovani” viene usata a discredito gratuito di esperienze di lotta e dal basso – entri in un parco, ex polisportiva, di proprietà comunale da anni abbandonato. Un’occupazione non occupazione, visto che il cancello era aperto, e chiunque poteva entrare.

Anni di abbandono, poi, dopo la dichiarazione di uno stanziamento di qualche migliaia di euro, il parco è stato inaugurato (ma solo una parte, quella con i giochi per bambini) dal sindaco di allora a maggio del 2011, per poi di nuovo essere lasciato alle incurie, nonostante i due campi da tennis, uno da calcio, un piccolo spogliatoio. In due anni, di nuovo pieno di erbacce. Un gruppo di temerari militanti lucchesi entra nell’ex polisportiva, in piena estate, e nel giro di una settimana lo rende utilizzabile e lo restituisce alla cittadinanza, nessuno escluso, gratis. Porte aperte, venite a giocare a pallone, portati i bimbi sui giochi, organizzate iniziative, venite a far festa con noi.

Ora, per i lettori che non abitano in provincia, specie in una provincia piuttosto chiusa e democristianizzata, occorre fare uno sforzo mentale. Cercare di capire lo scompenso che provoca a amministratori, poteri più o meno forti, e non ultimi giornalisti locali, un evento del genere, in una città dove da più di dieci anni non c’è un centro sociale occupato o autogestito e dove i centri di aggregazione sono minimi e fortemente istituzionalizzati. C’è una mancanza proprio elementare di linguaggio.

Si blatera allora di legalità, anche se naturalmente come quasi sempre nella provincia italiana spazi e spazietti comunali vengono dati ad amici e amichetti quando serve. Manca il “bando”, i ragazzi hanno occupato (tecnicamente non vero, peraltro), chissà cosa fanno là dentro, non emettono gli scontrini, e tutto il corollario di perbenismo stantio, di provincialismo della peggior specie, e soprattutto, di incapacità d’ascolto. Rimane un dato di fatto: un posto che prima era inutilizzabile e inutilizzato, ora è a disposizione della cittadinanza perché un gruppo di chiaramente pericolosissimi sovversivi si è rimboccato le maniche e in una settimana ha fatto quello che le varie amministrazioni comunali non sono riuscite a fare in anni.

Torniamo alla nostra amministrazione allora, che da subito appare tentennante: un delirante bastone e carota, prima il sindaco sembra felice che qualcuno metta mano a qualche struttura in disuso, poi adotta l’arma più usata in questi casi, quella del paternalismo, poi sembra che l’azienda comunale che gestisce l’acquedotto debba utilizzare la struttura, ma non è del tutto vero, insomma la chiarezza comincia a mancare, si cominciano a usare parole come sgombero e affini, e poi il gruppo deve abbandonare la polisportiva, per poi poter rientrare, e via dicendo.

Intanto la campagna stampa incalza, con scene surreali di giornalisti provocatori che si lamentano per non essere stati fatti entrare ad un’assemblea (mancano, si diceva, gli strumenti culturali per capire qualcosa del genere). Poi, una volta messa alle strette, l’amministrazione concede l’uso del parco per qualche mese. Oggettivamente una grande vittoria. La vittoria ancora più grande sarebbe stato il ripensare completamente le logiche neo-liberiste che stanno dietro alla gestione dei beni pubblici in Italia: invece di fare un bando di gara che vada al miglior offerente, che poi farà pagare un biglietto per utilizzare le strutture, lasciare l’uso gratuito e gestito da volontari.

Ma insomma, meglio un affidamento temporaneo che niente. I non occupanti peraltro sono persone rispettose, non fanno tardi la sera, dialogano con il quartiere in maniera insistente, nei loro comunicati sono sempre pacati e mai sopra le righe, pagano le bollette, si autofinanziano (altra parola la cui comprensione è chiaramente difficile). I non occupanti che ogni città di provincia vorrebbe insomma. E mentre in città si verifica l’ennesima aggressione di stampo neofascista in pieno centro storico, le attività dell’ex Polisportiva vanno avanti con sempre più partecipazione.

Fino all’epilogo, nelle scorse settimane, in cui l’amministrazione tentennante diventa improvvisamente decisa e chiede lo sgombero entro 24 ore, con annesse querele, nonostante sia previsto il concerto di chiusura solo tre giorni dopo. I non occupanti gentili infatti se ne sarebbero andati senza problemi alla fine dell’evento.

Cosa ci insegna questa piccola storia locale eppure così tipica? Diverse cose, per esempio che anche iniziative elettorali nate da sinistra nella provincia italiana finiscono troppo spesso per annacquarsi nel paternalismo e nel burocratismo una volta arrivati al potere. Che cercare di fare qualche cosa di diverso in realtà lobotomizzate da immobilismo e noia è terribilmente difficile. Che essere giovani è tendenzialmente un torto. E soprattutto che c’è ancora molta strada da fare per provare a gestire il bene comune in modo alternativo, sottraendolo alla logiche del guadagno di pochi.