Il testo è potente, denso della caustica lucidità di Thomas Bernhard, Piazza degli Eroi, che il regista Roberto Andò allestisce per la prima volta in Italia nell’autunno del 2020 come atto iniziale del suo arrivo alla direzione del Teatro di Napoli, debutta un anno dopo e ora è in tournée (fino al 23 gennaio all’Argentina). L’attesa come strana sorte per questo capolavoro, l’ultimo dell’autore austriaco, considerato il suo testamento, se si pensa anche alla pubblicazione prevista dalla Ubulibri, quel sesto volume delle opere di Bernhard che non vide mai la luce (uscito per Einaudi nel 2021). In piena pandemia, lo spettacolo era andato in onda – in prima assoluta – su Rai 5 e già aveva sorpreso per la straordinaria interpretazione di Renato Carpentieri che con Imma Villa sono i pilastri di questa messinscena spiazzante per la sua vertiginosa lungimiranza. Un j’accuse che Bernhard scrive nel 1988 (morirà nell’89), feroce già nel titolo, Heldenplatz, il luogo in cui Hitler cinquant’anni prima – nel 1938 – annuncia ai viennesi l’annessione dell’Austria alla Germania nazista. E lo ambienta proprio nel marzo dell’88, in un appartamento con affaccio su questa orrorifica piazza: da una delle finestre si è appena gettato Josef Schuster, professore di matematica ebreo tornato a vivere lì con la sua famiglia, nonostante la moglie sia ancora preda delle grida di quella massa acclamante svastiche e führer.

A SUICIDIO compiuto si apre la pièce, con la Signora Zittel, la governante (Imma Villa), impegnata a impacchettare abiti e biancheria del Professore, dentro bauli con la scritta Oxford. Sarebbe dovuta essere quella la destinazione del Professore, mentre invece ora, che è morto e la casa venduta in una settimana, la moglie andrà a Neuhaus, la detestata residenza di campagna. Dove vive Robert Schuster/Carpentieri, professore di filosofia e alter ego dello stesso Josef, che lancia invettive contro i socialisti austriaci, complici della riemersione della feccia nazi-fascista europea. Robert vive e va ai concerti, ma è come se fosse morto, consapevole dell’inutilità di cambiare luogo per liberarsi dal suo infinito dolore. Due ore e venti minuti per dieci personaggi, compreso il pianista, con lo sguardo in cerca di un altrove anelato e forse trovato dalla Signora Schuster. Un cameo per Betti Pedrazzi che, sempre evocata, compare solo nell’ultima scena per emettere L’urlo di Munch.