L’opzione di lavorare da casa non spetta ai freelance e ai precari che lavorano a progetto, trovano un impiego intermittente attraverso le «app», ottengono pochi euro giornalieri in un moderno sistema del cottimo digitale. Sono incastrati in una zona grigia tra il lavoro dipendente e autonomo, tra un’economia informale e un’altra ufficiale. La «quarantena» degli altri è una vita brutale e a rischio per se stessi.

Nella moltitudine di invisibili che si muovono nelle città chiuse per Covid 19, senza avere diritto alle indennità di disoccupazione, a un’assicurazione sanitaria, a un reddito di base, ci sono ad esempio i rider che «svolgono servizi essenziali, anche quando non sono davvero tali – afferma Valerio De Stefano docente di diritto del lavoro all’università di Lovanio – Guadagnano cifre davvero modeste, sulle loro spalle è scaricato il costo della tutela della società, mentre paghe e diritti sono insufficienti a garantire un livello di vita decoroso. Sono necessarie tutele e sostegni universali da versare direttamente nelle loro tasche e non in quelle delle piattaforme che possono anche non distribuirli».

La legge sui rider approvata in Italia riconosce il loro statuto di lavoratori subordinati alle piattaforme e dunque le tutele previste in questo caso?
Si è tergiversato troppo, anche prima che scoppiasse l’epidemia. Oggi le tutele sono insufficienti. Per quale motivo, in un momento in cui il governo adotta nuove norme su qualsiasi fronte, non è previsto un intervento specifico che riconosca a questi lavoratori la piena tutela? Lo si può fare subito. A questo proposito esiste anche una sentenza della Corte di cassazione che riconosce la tutela del lavoro subordinato anche in assenza di un vincolo di subordinazione. Già da ora si può dare per scontato che sia riconosciuta. Non si può pretendere che facciano causa per farsi riconoscere diritti fondamentali in un momento in cui i tribunali sono chiusi.

Il Basic Income Network Italia e la campagna per il «reddito di quarantena» chiedono l’estensione strutturale e senza vincoli del cosiddetto «reddito di cittadinanza». Papa Francesco ha chiesto un «salario universale» per i lavoratori precari e informali che sopportano in modo sproporzionato il peso della crisi. Sono una soluzione?
Certo. Vanno sostenuti i salari, e forniti diritti universali di base a tutti coloro che lavorano, al di là del fatto che siano autonomi o subordinati, operino nell’economia formale o informale. Soprattutto in questo momento dobbiamo porci il problema di una quantità enorme di persone che non troveranno un lavoro e che avranno comunque bisogno di un reddito. Non si può pensare di gestire la fase di emergenza precarizzando ancora di più le condizioni di chi lavora e mettendo in competizione gli occupati con quelli che non hanno un lavoro.

Per i lavoratori occasionali, o in nero non per colpa loro, si sta pensando a un «reddito di emergenza». Dovrebbe essere un sussidio occasionale che si aggiunge agli altri oppure una misura strutturale?
È necessario eliminare le condizionalità del reddito di cittadinanza, allargando la platea affinché questo reddito sia percepito in maniera stabile. Bisogna abbandonare il sospetto sulle misure universali, tenendo conto che sono state mobilitate tantissime risorse per altri settori della società, incluse le imprese.

Cosa pensa del fondo «Sure» da 100 miliardi stanziato dalla Commissione Ue per le casse integrazioni dei paesi europei membri?
È soprattutto uno strumento per garantire la continuità delle imprese. La cassa integrazione permette di sospendere temporaneamente la forza lavoro, facendogli percepire un sussidio, per poi riaprire i battenti appena possibile, senza dover assumere e qualificare nuovo personale, risparmiando sui nuovi costi. Sono provvedimenti positivi, ma non vanno percepiti soltanto come strumenti di tutela dei lavoratori. Sono benefici alle attività produttive in generale. Per questa ragione sono anche necessari strumenti universali, utili anche per liberare risorse economiche ed allargare le platee dei destinatari.

Per la prima volta in Italia è stato riconosciuto alle partite Iva un ammortizzatore sociale, sia pure diviso tra categorie. Resterà dopo la fine della crisi?
È necessario. Questa è una buona notizia, ma la distribuzione a pioggia anche a professionisti che non hanno un bisogno emergenziale di questo sussidio riduce le risorse a disposizione per chi davvero ha bisogno di un sostegno.

Questa crisi sarà usata di nuovo per deregolamentare il lavoro e aumentare la produttività per riassorbire la disoccupazione?
Il rischio è che si pensi di riassorbire la disoccupazione rendendo il lavoro ancora più precario. Ovunque si sta discutendo sulla apertura riducendo i diritti dei lavoratori, anche se non è nemmeno chiaro quando sarà possibile uscire dall’emergenza medica. L’ultima crisi di dieci anni fa è stata gestita in questo modo. Si ripetono sempre gli stessi errori, pur avendo visto che più i lavoratori sono precari, più subiscono le conseguenze drammatiche nella crisi.