Un serio giornalista ha definito «nebulosa vicenda», con particolari avvolti «nel buio», un episodio (il Piano Solo del 1964), che in una recente rassegna “storica” (M.Teodori- M.Bordin, “Complotto. Come i politici ci ingannano”, ed Marsilio) è stato collocato al primo posto in una serie di immaginari colpi di Stato, la cui enfatizzazione, secondo gli autori, ha fatto comodo a giornalisti avidi di scoop e a politici spregiudicati pronti a usare il pretesto dello scontro nelle piazze e nelle istituzioni per mantenere l’immobilismo.

Vittime del bluff, nel luglio del 1964, sono stati i socialisti di Pietro Nenni che volevano dar vita a un centrosinistra più riformatore, guidato da Aldo Moro.

Questo “complotto al Quirinale” non dovette essere tanto immaginario, posto che la sua attivazione prevedeva una specie di rastrellamento di dirigenti politici da trasferire forzosamente in Sardegna, e che si trattava di «una manovra agitata dai maggiorenti democristiani conservatori, stretti intorno al presidente Segni, per intimidire i settori riformatori del Psi e della DC e costringerli ad accettare una piattaforma di governo moderata».

Tanta leggerezza ed ironia lasciano un po’ perplessi, perché su questo evento sono stati svolti accertamenti in sede amministrativa (commissione presieduta dal generale Lombardi), in sede parlamentare (commissione parlamentare presieduta dal generale Alessi; commissione d’inchiesta sul terrorismo presieduta dall’on.Pellegrino) e in sede giudiziaria (sentenze del tribunale di Roma 12.5.1970 e 26.2.2001, emesse in tema di pretesa lesione della reputazione del generale De Lorenzo), nonché su convincenti osservazioni di storiografi ( Elena Cavalieri, Mimmo Franzinelli).

Secondo questi accertamenti, nei primi sette mesi del 1964, a seguito di contatti, promossi dal comandante generale dei carabinieri, Giovanni De Lorenzo, venne esaminato dai vertici dell’Arma un piano predisposto per l’ordine pubblico, in cui erano previsti interventi di occupazione di luoghi, edifici, impianti di comunicazione di natura e funzione pubbliche, congiuntamente a interventi privativi della libertà di 731 cittadini, tra cui anche parlamentari, indicati in elenchi (parzialmente scomparsi) allegati al piano, con criterio prevalente dell’appartenenza ad associazioni di sinistra; queste persone erano destinate ad essere raccolte in 8-10 porti ed aeroporti e ad essere inviate, con navi e con aerei militari dello Stato, in una località della Sardegna.

De Lorenzo non ha accettato, nel corso dell’interrogatorio dinanzi alla commissione Lombardi, il ruolo di protagonista di un’antistorica dittatura militare: contestatogli che nel binomio con il presidente della Repubblica «eri il braccio forte di Segni, che era la mente di questa faccenda. Ad un bel momento Segni lo hanno messo completamente fuori…l’hanno scagionato completamente», il generale risponde: «Ma …si è parlato che l’andare addosso a Segni gli irritava l’opinione pubblica…il fatto che abbiano aggredito me ha salvato i democristiani e ha fatto cadere l’azione social-comunista….Poi le cose si sono accomodate perché si sono messi d’accordo con i socialisti ….hanno ceduto, Nenni ha preferito rimanere sul posto e tutto è andato a posto».

Questa versione ha ricevuto una conferma di estrema chiarezza da Aldo Moro, capo del primo governo di centro sinistra dimissionario e designato a presiedere il successivo. Nel suo memoriale, scritto durante il disumano sequestro delle Brigate Rosse: «Il tentativo di colpo di Stato nel ’64 ebbe certo le caratteristiche esterne di un intervento militare, secondo una pianificazione propria dell’arma dei carabinieri, infine per utilizzare questa strumentazione militare essenzialmente per portare a termine una pesante interferenza politica rivolta a bloccare o almeno a fortemente dimensionare la politica del centro sinistra, ai primi momenti del suo svolgimento.
Questo obiettivo politico era perseguito dal presidente della Repubblica on.Segni, che questa politica aveva timidamente accettato in connessione con l’obiettivo della Presidenza della Repubblica. Ma a questa politica era contrario ….mentre si sviluppava l’azione dei gruppi di azione agraria, ostili alla politica del centro sinistra e di ogni politica democratica …… Il piano, su disposizione del capo dello Stato, fu messo a punto nelle sue parti operative (luoghi e modi di concentramento in caso di emergenza ) che avevano preminente riferimento alla sinistra, secondo lo spirito dei tempi».

Il ministro dell’interno, Paolo Emilio Taviani – confermato il ruolo trainante del capo dello Stato che «non era solo né isolato nelle sue preoccupazioni» – ha elencato i nomi di alte cariche dello Stato che condividevano le sue posizioni (nomi che sono riportati da Elena Cavalieri in I piani di liquidazione del centro-sinistra nel 1964) concludendo che «Accanto e attorno ai nomi citati, era un cospicuo mondo politico trasversale non legato a interessi né da sigle associative. Erano parlamentari, alti funzionari, magistrati, alti ufficiali che vedevano un grave pericolo nella nostra apertura a sinistra, iniziata negli anni Sessanta. Era un movimento di opinione contro il centro sinistra, di gente in parte in buona fede, in parte interessata a mantenere lo status quo sul piano sociale».

Il ruolo svolto dal presidente del Senato nell’anomala opposizione al programma di centro-sinistra (incentrato sulla democratizzazione del potere economico, attraverso gli organi della pianificazione) è ben descritto da Franzinelli: «Nel febbraio 1964, Merzagora lo aggiorna sul sondaggio da lui effettuato nella finanza lombarda, dove si accusano i socialisti di determinare un’atmosfera di minaccia agli interessi imprenditoriali …Da tempo il presidente del Senato elabora proposte in sintonia con gli interessi degli industriali e contrarie alla linea rappresentata dai socialisti nell’esecutivo. Il ministro del bilancio Antonio Giolitti è considerato l’emblema della sovietizzazione». Su questa santa alleanza si è soffermato anche S.Mura in Aldo Moro, Antonio Segni e il centro-sinistra.

In campo penale non è stato fatto alcun diretto passo investigativo su questi fatti, anche se di materiale di indagine ce ne era in abbondanza. In sede di analisi storica, non ci si può limitare a ironizzare e a parlare di fantasie e di aventi nebulosi. Da questa programmata opposizione extraistituzionale sono usciti sconfitti non solo Riccardo Lombardi e Antonio Giolitti, fautori di ingresso realmente riformatore dei socialisti nella stanza dei bottoni, ma tutti i cittadini, rimasti fedeli ai valori della nostra democrazia. Da quegli anni si sono verificati sostanziali mutamenti nella gestione del potere politico la classe imprenditoriale si è fatta diretta protagonista e interviene direttamente nella modifica degli assetti legislativi, con particolare riguardo alla deregolamentazione del mondo del lavoro, assoggettato alla precarietà, come modello delle relazioni contrattuali, e alla privatizzazione di servizi e beni naturalmente pubblici.

La minaccia militare del Piano Solo e i successivi errori del Psi hanno quindi bloccato il tentativo di realizzare la politica economica voluta da Giolitti, secondo cui, nelle grandi scelte, il potere di decisione non può non essere esercitato «dalle istituzioni democratiche responsabili davanti alla collettività e l’intervento pubblico e l’iniziativa privata vengono coordinati e indirizzati in funzione degli obiettivi fissati da quelle decisioni». Il centro-sinistra del 1964 si è dissolto, lasciando insoluto il problema della democrazia economica in Italia, cioè la necessità di trasferire alle istituzioni pubbliche (confinate in acritico assistenzialismo finanziario e normativo) il potere di incidere sulle scelte economiche di fondo.

Il prossimo 14 luglio ricorre il cinquantenario del “tintinnio di sciabole” che tanto turbò Nenni e Moro: è proprio insuperabile il discreto silenzio dei tanti tutori degli annali della nostra democrazia?