Mentre il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani, propone Guido Bertolaso a capo del piano nazionale dei vaccini, la Lombardia fa i conti con un programma regionale che non esiste se non sulla carta. Numerose erano già state le critiche sulla scarsa attuabilità del piano del super consulente voluto da Fontana. Ma la definitiva conferma che i calcoli del Pirellone fossero errati è arrivata ieri in conferenza stampa, quando Bertolaso ha annunciato che Regione Lombardia dovrà «rallentare la vaccinazione del settore 1 bis, dove ci sono categorie che non sono le più a rischio, per garantire più vaccini alle zone arancione ‘rafforzato’». Ovvero quelle del Bresciano.

Tra le categorie della fascia 1 bis – invenzione lombarda per mascherare i ritardi nelle somministrazioni già da gennaio – potrebbero rientrare operatori sanitari extraospedalieri e liberi professionisti come gli odontoiatri. Ma anche le figure socio-sanitarie impiegate nell’assistenza domiciliare. A quale di queste categorie professionali verrà rimandata la somministrazione non è ben chiaro, visto che la conferenza stampa era basata su annunci e slogan più che su numeri e tabelle. Certo è che nessuna di queste può essere definita non prioritaria. L’approssimazione di Bertolaso diventa però evidente e innegabile quando è lui stesso a contraddirsi: «La carenza dei vaccini non è un alibi. In questo Paese c’è qualcuno che sfrutta il fatto che non ci sono vaccini per non vaccinare come si deve. Non la Lombardia». Una smentita di quanto affermato poco prima annunciando un rallentamento nelle somministrazioni per privilegiare le aree a rischio. Ma soprattutto, una sconfessione dei suoi stessi «datori di lavoro» Fontana e Moratti che da settimane lamentano la scarsità di farmaci per giustificare i ritardi.

Infatti, degli oltre 60 hub vaccinali annunciati neanche l’ombra e – stando a quanto spiegano alcuni insider in Regione – non saranno ultimati per la fine di aprile come promesso.

Bertolaso ha anche ribadito che «se avessimo vaccini sufficienti vaccineremmo tutti gli abitanti dei comuni in zona rossa e della provincia di Brescia». Numeri alla mano, però, la Lombardia è tra le regioni che hanno somministrato il minor numero di dosi di AstraZeneca, circa il 20%, pari a circa 19mila dosi a fronte delle 90mila ricevute. Un errore di calcolo, considerato che il farmaco AstraZeneca sarebbe valido per una platea di popolazione under 65 fatta di molti insegnanti. Ma il Pirellone aspetta i dati del Miur. E mentre aspetta, riduce pure il numero di tamponi. Circa 100mila in meno tra gennaio e febbraio rispetto a novembre. Proprio nella fase di maggior diffusione delle varianti. Il dato allarmante, è che, contrariamente alle indicazioni ministeriali, Regione ha deciso anche di sostituire il tampone molecolare con il test antigenici. Intanto, dalle zone «arancione rafforzato», si fanno sentire i sindaci. Uno su tutti quello di Brescia, Emilio Del Bono, che chiede maggior coinvolgimento.

«Siamo a disposizione per la logistica della campagna con le grandi strutture ma anche con quelle di maggiore prossimità come i luoghi di lavoro. Urge avere una organizzazione corale», afferma Del Bono. «Siamo fermi alle dichiarazioni d’intenti. – commenta il consigliere Pd Samuele Astuti – Moratti e Bertolaso portano come unica spiegazione la carenza di vaccini ma in realtà la Lombardia non è pronta a una vaccinazione di massa: non sono ancora state identificate le strutture, non sono stati coinvolti i sindaci al 100% né si è rimediato alla carenza di personale». «L’unico dato è che a Brescia, nelle ultime 24 ore si sono vaccinati 82 over 80», è il commento di Massimo De Rosa, capogruppo M5s in consiglio regionale.