Ultime consegne prima che Draghi faccia il salto verso il Quirinale o che il sistema postdemocratico costruito a sua immagine e i partiti agonizzanti precipitino nel caos della loro crisi permanente. Ieri il Senato ha votato la fiducia al governo sul decreto Recovery con 229 voti favorevoli e 28 contrari, nessun astenuto. Il provvedimento è una specie di decreto omnibus che contiene le «misure urgenti» per l’attuazione del cosiddetto «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr), norme sulla prevenzione delle infiltrazioni mafiose e, tra le molte cose, anche quelle sulla proroga dei «navigator» che, fino ad aprile 2022, lavoreranno ancora per l’Agenzia delle politiche attive del lavoro (Anpal), poi si vedrà. Dalle multe ai negozianti che non accetteranno bancomat o carta di credito dal 2023 all’imposizione del pensiero computazionale («coding») ai bambini a scuola (milestone, cioè «pietra miliare» nella neolingua governativa, della riforma neoliberale dell’istruzione). Ci sono anche le risorse ai Comuni per coprire le assunzioni o i poteri d’eccezione a commissari e governatori sulle «grandi opere».

SEMPRE AL SENATO, tra ieri notte e stamattina, sarà votata la prima, e probabilmente ultima, legge di bilancio da 32 miliardi di euro fatta dal governo Draghi nel cui bilancio va ascritto anche uno sciopero generale indetto da Cgil e Uil che sembra essere passato come l’acqua sotto i ponti di un sistema in ansia per la propria auto-riproduzione e non interessato al problema dei salari, dei redditi, delle pensioni e della criticata riforma dell’Irpef di cui molti hanno denunciato la natura regressiva, mentre il governo si è affannato a dimostrare gli effetti virtuosi.

TRA UN VOTO e l’altro, ieri pomeriggio a palazzo Chigi, c’è stata una «cabina di regia» sul «Pnrr da cui sono uscite le bozze della prima relazione sullo stato di attuazione del programma economico. Il «Pnrr» è considerato dalla tecnocrazia politica e dall’attuale maggioranza Frankenstein che regge il governo Draghi come la manna dal cielo che salverà un’economia dopo l’attuale rimbalzo (+6,2%) seguito al colossale tonfo del Pil causato dalla pandemia del Covid (-8,9%). Dopo tutti sperano che i 235 miliardi di euro complessivi, tra «Pnrr» e altri fondi, possano rilanciare entro il 2026 il totem della «crescita» e il greenwashing eco-digitale evitando di tornare alla stagnazione dello zero virgola del Pil, quella del 2019.

DRAGHI ha ribadito ieri la legge del pilota automatico, di cui è interprete e incarnazione. Così pensa di accendere la luce in fondo al tunnel: vincolare il paese alle scadenze dei progetti e degli obiettivi stabiliti dalla Commissione Europea, e recepiti con entusiasmo, da tutte le forze politiche, comprese quelle che hanno fatto carriera e ricevuto milioni di voti criticando aspramente il potere che oggi invece sostengono.

«È UN’OCCASIONE unica per cambiare percezione dell’Italia nel mondo» ha detto Draghi aprendo la cabina di regia sul «Recovery Plan». Il problema più gravoso resta «la scarsa capacità di spendere le risorse disponibili» che rischia di compromettere ciò che oggi viene dato per scontato, ovvero la possibilità di rispettare il ritmo delle scadenze indicate dal «Piano» scritto dal governo e accolto sostanzialmente da Bruxelles che li verificherà e poi erogherà le tranche dei finanziamenti previsti.

QUELLI che un tempo erano chiamati i «compiti a casa» per i primi mesi sono stati fatti. Cinquantuno obiettivi sono stati raggiunti per presentare la domanda di pagamento della prima rata di rimborso pari a 24,1 miliardi di euro si è letto nella prima relazione al parlamento sull’attuazione del «Pnrr». Ma non è certo finita. Nel 2022 il prossimo governo dovrà raggiungere 102 obiettivi per ottenere un’altra tranche da 40 miliardi di euro. da qui al 2026 i fondi sono suddivisi in 10 rate: per vedersi staccare tutti gli assegni l’Italia dovrà realizzare in tutto 520 «obiettivi».

SOLO nel secondo trimestre 2022 sono previste la riforma della carriera degli insegnanti (30 giugno); la delega per la riforma del codice degli appalti pubblici (30 giugno); l’istituzione di un sistema di formazione di qualità per le scuole (31 dicembre); l’istituzione di un sistema di certificazione della parità di genere e dei relativi meccanismi di incentivazione per le imprese (31 dicembre); la legge annuale sulla concorrenza 2021 (31 dicembre). Ogni governo, fino al 2026, sarà vincolato e condizionato al vortice di queste scadenze. Pena la perdita dei finanziamenti sui quali è stato costruito il consenso. Questo «vale anche e soprattutto – ha sottolineato Draghi – per gli investimenti, che sono finalizzati al raggiungimento di risultati». Il pilota automatico è innescato.