Il 21mo giorno della guerra di Putin in Ucraina si è consumato con oscillazioni se possibile ancora più marcate tra la speranza minima di un cessate il fuoco e la realtà quotidiana sul terreno, che resta di morte e distruzione. Un giorno in cui si sono alternate le controaperture ottimistiche del ministro degli Esteri russo Lavrov sul progresso dei negoziati e le parole inquietanti di Putin circa il lavoro da completare.

E POI, TRA UN PROCLAMA militare e l’altro è venuta fuori anche la prima traccia nero-su-bianco di un possibile piano di pace in 15 punti: è la bozza, secondo quanto anticipato dal Financial Times, attualmente sul tavolo negoziale, che prevede nelle sue parti essenziali il ritiro delle truppe russe a fronte della «neutralità» dell’Ucraina.

Ieri, il giorno dopo la missione solidale dei premier di Slovenia, Polonia e Repubblica ceca a Kiev, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha incassato l’ordine di uno stop immediato all’invasione emesso dalla Corte penale di giustizia (Cpg). Ordine «vincolante», ma sulla base di quel diritto internazionale che al momento è da annoverare tra le vittime illustri del conflitto. Inoltre qualora Mosca non recepisse, la Corte dovrebbe lamentarsene con il Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove la Russia fino a prova contraria ha il diritto di veto.

ANCHE LA CORTE penale internazionale (Cpi), che ha sede sempre all’Aja ma non è un organismo Onu, ha dato seguito all’inchiesta già aperta sui crimini di guerra commessi in Ucraina «dal 2014 a oggi». Il procuratore Karim Khan ieri era in Ucraina per incontrare i vertici del governo ucraino.

Zelensky, che ha subito salutato la decisione della Cpg come una «vittoria totale» contro la Russia, ieri ha vissuto un’altra intensa giornata di appelli, contatti internazionali e performance in videoconferenza come quella tenuta in mattinata di fronte al Congresso Usa. Durante la quale il presidente ucraino ha toccato le corde emotive dei congressisti evocando «il cielo di Pearl Harbour nero per gli gli aerei che vi attaccavano» e l’11 settembre che «l’Ucraina sta vivendo ogni giorno da tre settimane». Preceduto da un sonoro I have a dream, ha rilanciato ancora la sua richiesta di «protezione dei cieli del Paese» mediante una fly-zone che invoca da giorni e che per il momento è destinata a restare un «sogno».

A TAL PROPOSITO il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg è stato costretto a ribadire una volta di più la visione unitaria dei paesi membri su questo: «Vediamo distruzioni e sofferenze umane in Ucraina, ma potrebbero essere anche peggio se agissimo in modo da trasformare il conflitto attuale in una guerra totale tra Nato e Russia». Stoltenberg ha di conseguenza smentito categoricamente l’esistenza di piani per schierare truppe Nato in Ucraina.

A WASHINGTON l’intervento di Zelensky è finito con una standing ovation e il via libera a un nuovo stock di aiuti statunitensi – in buona parte militari – per un valore di 800 milioni di dollari. Un convinto grazie per gli aiuti già ricevuti il presidente lo ha riservato in serata per il suo omologo turco Erdogan, definito un «vero amico». La telefonata ricorreva nell’anniversario del referendum con cui la Crimea nel 2014 ha scelto di stare con la Federazione russa. Un passo mai riconosciuto da Ankara, che ha molto a cuore la questione dei Tatari turcofoni nella penisola contesa, una delle tante che mantiene tesi i rapporti con Mosca .

NON CI SAREBBERO OSTACOLI invece, fa sapere il Cremlino, al vertice dei vertici, tra Putin e Zelensky, a patto che sia un incontro risolutivo. Ovvero i due capi di stato potranno vedersi solo a valle del lavoro svolto dalle due delegazioni nei colloqui in corso. In pratica per mettere la firma sull’accordo e per le foto di rito. Una circostanza di lì da venire.

Tutto resta infatti subordinato a quel che ha in testa Putin in questo momento. Utilizzando un meeting sulle misure socio-economiche da prendere a sostegno delle regioni russe investite dalle sanzioni internazionali, il presidente russo è tornato a dire che «l'”operazione speciale” procede con successo secondo i piani prestabiliti», che «l’Ucraina, incoraggiata dagli Stati uniti e da un certo numero di Paesi occidentali, si era preparata di proposito per uno scenario militare» e che la sua decisione di intervenire ha scongiurato i piani di Kiev per «un massacro sanguinoso e una pulizia etnica nel Donbass». Se non è una candidatura al Nobel per la pace poco ci manca.