Condizione essenziale – oggi – per diventare una superstar del pop? Essere, per così dire, multitasking. Definizione che calza a pennello a Pharrell Williams, in corsa fno all’ultimo per una statuetta dorata agli Oscar con Happy, tema conduttore di Cattivissimo me II, scalzato al fotofinish dal melenso tema conduttore del disneyano Frozen, dal titolo Let it go

Happy è una sorta di potente tormentone capace di rimbalzare da una parte all’altra dell’oceano invadendo radio e classifiche, che mescola con sapienza gospel, pop, soul in un frullatone ipervitaminico. Perché Pharrell, allampanato ragazzone – nei video sempre circondato da ragazze bellissime (ma non c’è la volgarità né il sessismo estremo dei rapper newyorkesi, il soul man di Virginia Beach sa che non è bene esagerare…) – è l’uomo del rinascimento della black music. Capace prima in veste di produttore e poi di autore (ed esecutore) in prima persona di ridare linfa a un genere iperplastificato e in crisi d’identità. Il giovanotto – ma in realtà di anni ne ha 41 – inizia la carriera nei novanta quando, insieme a Chad Hugo, forma i Neptunes, band di urban soul messa sotto contratto da Teddy Riley. Nei primi anni del nuovo millennio con Kaleidoscope e In search of il gruppo diventa un punto fermo del black power da fm, tanto da convincere Pharrell a intraprendere una parallela carriera come produttore e autore per altri. Britney Spears, Jay Z, Madonna (Hey you, una delle poche cose irresistibili di un poco memorabile Hard Candy, 2008). Insomma tutti (o quasi) bussano alla sua porta: Gloria Estefan, Rick Ross, Robin Thickle, Beyoncè.

Scrive musica popolare, attento alla lezione tramandata da Michael Jackson, e attento ad ogni minimo dettaglio come rivela nelle interviste: «Sono cresciuto nel mito di Jacko, è grazie a lui che oggi non ci sono più barriere tra musica, arte, moda. La moda è anche stile, l’arte è anche design e la moda non è mai avulsa dal contesto. Viaggia tutto insieme». Il 2013 è decisamente il suo anno magico, con il duo francese dei Daft Punk canta Get Lucky, e si porta a casa uno dei cinque Grammy andati a Random access memories, l’album con cui la coppia transalpina ha omaggiato la disco. E a dicembre ecco ’esplodere’ Happy. Inevitabile, la Sony che da buona major vuole battere il ferro finché è caldo, gli commissiona un intero album. E lui senza batter ciglio mette in fila dieci canzoni dieci sotto il titolo – guarda un po’ – di G I R L, scritto proprio così.

Un helzapoppin dove è attento a shakerare gli ingredienti giusti, i ritornelli perfetti, senza esagerare con la saccarina. E il disco funziona, azzeccando ogni singola nota e ospite: c’è Justin Timberlake in Brand New, Alicia Keys in Know You Are, Miley Cirus (la discola ex santarellina Disney ora lolita del pop) in Come and get it bae. Ma a colpire sono soprattutto l’iniziale Marilyn Monroe – in duetto con Kelly Osbourne, sì proprio la figlia del terribile Ozzy, e il groove ancora terribilmente Chic di Gust of wind, dove si rinsalda la collaborazione con i Daft Punk.