La fase finale della corsa al vaccino è entrata nel vivo. Dopo la fase degli annunci, ieri per la prima volta l’efficacia dei primi vaccini anti-Covid è stata discussa in termini scientifici al di là e al di qua dell’Atlantico. La Food and Drug Administration (Fda), l’agenzia statunitense che autorizza i farmaci, ha diffuso una relazione decisamente favorevole sul vaccino prodotto dalle aziende Pfizer e BioNTech. La rivista britannica Lancet, invece, ha pubblicato i risultati dello studio clinico su 23 mila pazienti relativo al vaccino sviluppato all’università di Oxford e prodotto dalla AstraZeneca. Anche questo vaccino ha dato prova di efficacia, ma con risultati più incerti rispetto al vaccino Pfizer.

I REVISORI DELLA FDA hanno sostanzialmente confermato i numeri comunicati dalla Pfizer il 9 novembre con un comunicato stampa. L’efficacia del vaccino «a mRna», provato su 44 mila volontari con più di 16 anni di età (la metà dei quali ha ricevuto un placebo) è superiore al 90%. Tra i volontari vaccinati, solo 8 hanno sviluppato il Covid-19, mentre nel gruppo di controllo che ha ricevuto il placebo i casi sintomatici sono stati 162. Nessun dato disponibile sulla prevenzione nei confronti delle infezioni asintomatiche, ma la conclusione degli esperti è positiva: «È ragionevole ritenere che il vaccino sia efficace nel prevenire il Covid-19 in persone di almeno 16 anni di età e i benefici noti e potenziali superano i rischi».

Il parere finirà sul tavolo di una commissione di esperti esterni che si riunirà il prossimo giovedì. Se anche quel comitato darà parere favorevole, la Fda potrebbe autorizzare il vaccino già entro questa settimana. Si tratterà in ogni caso di un’«autorizzazione per uso emergenziale». Come spiega il rapporto degli esperti della Fda, il vaccino dovrà essere ancora considerato “non approvato” e rimarrà sotto esame. Il parere definitivo sarà dato sulla base di maggiori dati di efficacia e sicurezza, sul confronto con altri prodotti e sul rischio che l’immunità acquisita svanisca nel tempo.

LE NOTIZIE CHE RIGUARDANO il vaccino di AstraZeneca sono invece meno entusiasmanti. Il vaccino usa un metodo leggermente diverso: il codice genetico usato per produrre la proteina Spike viene trasportato nelle cellule da un adenovirus degli scimpanzé innocuo per l’uomo e non da un liposoma come nel vaccino Pfizer. I test hanno riguardato 11 mila volontari e l’efficacia di due dosi del vaccino si è fermata al 62%, con uno 0,5% di ammalati contro l’1,7% nel gruppo di controllo. Per errore, 1300 volontari hanno ricevuto solo metà della prima dose (più l’intera seconda).

A sorpresa, in questo sottoinsieme di partecipanti l’efficacia del vaccino è salita al 90% (0,2% di malati tra i vaccinati contro 2,2% nel gruppo del placebo). Questo risultato ha destato molte perplessità tra gli scienziati. Secondo gli scienziati di Oxford, una dose più bassa può generare una minore reazione all’adenovirus che trasporta la proteina «Spike» e di contro facilitare la produzione di anticorpi contro il coronavirus, ma è solo un’ipotesi. Dubbi circondano anche l’affidabilità statistica di un campione di soli 1300 volontari tutti al di sotto dei 55 anni di età, un fattore che potrebbe aver influenzato l’esito positivo della vaccinazione.

I VOLONTARI ANZIANI sono stati inclusi nello studio solo in un secondo momento e su di loro la raccolta dei dati è ancora in corso. Perciò, la ricerca pubblicata su Lancet non dice nulla sull’efficacia del vaccino in queste fasce di età. Senza ulteriori evidenze, difficilmente l’Agenzia Europea del Farmaco autorizzerà il vaccino AstraZeneca per l’uso negli anziani.

La decisione potrebbe avere conseguenze sul piano vaccinale italiano. AstraZeneca, infatti, dovrebbe fornire circa il 60% delle dosi prenotate dall’Italia per il primo trimestre 2021, con cui il governo punta a vaccinare circa cinque milioni di ultraottantenni.

L’ultima incognita riguarda l’azione del vaccino AstraZeneca: il vaccino in due dosi previene (un po’) le infezioni sintomatiche ma non quelle asintomatiche. Se anche le persone vaccinate dovessero rivelarsi contagiose, dunque, diminuirebbero i sintomi ma il virus continuerebbe a circolare, obbligando il sistema sanitario a mantenere alta la sorveglianza sul contagio.