Sta ormai entrando nel comune sentire l’idea che un museo non sia soltanto un’austera compassata istituzione, preposta esclusivamente a raccontare la storia del mondo o mostrare lo sviluppo delle arti e delle scienze: da una ventina d’anni in qua esistono anche molti luoghi alternativi che permettono conoscenze differenziate, come quella musicale. Prima però di illustrare dieci tra i migliori musei musicali dedicati a singoli nomi (artisti o gruppi) una breve premessa «ideologica» risulta doverosa.

È grosso modo da questo ventennio berlusconiano che i governi italiani si riempiono la bocca di frasi sull’importanza di utilizzare, anche come risorsa economica, il patrimonio artistico-culturale, benché siano i primi a oltraggiare la Costituzione (che tutela il paesaggio e l’ingegno, mentre ecomostri, cementificazioni e fughe di cervelli sono all’ordine del giorno) e a scarseggiare in fatto di idee nuove e originali. Basterebbe invece che imparassero dagli americani, i quali, quando non fanno la guerra, sono, a casa loro, creativi, efficienti, attivissimi a sfruttare a fini turistici (dunque remunerativi) persino gli aspetti «pop» (popolari, popolareschi, popolareggianti) della vita quotidiana, tutelandola addirittura quale «cultura».

A girare gli States si trovano i musei più strambi, assurdi e eccentrici del mondo: musei dedicati via via alla mostarda, alle chiavi inglesi, agli spaghetti istantanei, alla cattiva arte, persino agli scarafaggi morti vestiti nei panni di celebrità musicali come Elvis Presley, Britney Spear, il pianista Liberace (la Cockroach Hall of Fame a Plano nel Texas), per restare in tema sonoro. In effetti un ruolo non indifferente è occupato da gallerie, raccolte, pinacoteche, dimore storiche, esposizioni permanenti sul tema delle sette note, che possono grosso modo suddividersi in due tipologie: musei dedicati a un intero genere oppure case-museo riferite a un solo artista.

Ma cos’è un museo della musica e cosa ospita? Non sarebbe un controsenso museificare una forma liquida, impalpabile, evanescente come il suono? Il museo non è in fondo una collezione di roba da vedere (arti figurative) o cose da toccare (strumenti tecnico- scientifici)? Non proprio, o forse non solo…

Dalla fede illuminista nel museo enciclopedico si affianca, negli anni Sessanta-Settanta, soprattutto in Germania e in Inghilterra, l’idea di proteggere e valorizzare le culture materiali, passando attraverso il recupero di edifici industriali, esponendo, oltre la struttura architettonica in sé, quanto in esso prodotto e impiegato, dai macchinari alle merci da esportare e vendere. E ora che molta industria è anche industria del divertimento, dello spettacolo, del tempo libero, della cultura, i giochi sono fatti.

Il passo è dunque breve. Musei ad esempio dei fumetti, della radio, del cinema, della televisione, dell’erotismo, dello sport, della moda sorgono un po’ ovunque, in Nord Europa e negli Stati Uniti (molto meno in Italia). Per la musica il discorso è più complesso nel senso che la collezione di strumenti musicali antichi fa parte dell’attività museale tradizionale (anche nel nostro paese i siti prestigiosi non mancano), mentre il museo dedicato a un genere o alla storia intera concerne iniziative recenti. Quattro sono i musei del jazz di una certa rilevanza, ovviamente a New York e a New Orleans, ma anche a Darmstadt e a Genova. Per il rock (comprensivo anche di r’n’b, soul, pop, folk) è imprescindibile il Rock Museum di Cleveland, legato, dal 1986, alla celeberrima Hall of Fame, mentre persino singole case discografiche, dalla Motown (Detroit) alla Sun Records (Memphis) godono di simili trattamenti accademici.

Tuttavia il referente assoluto per l’immediato futuro potrebbe diventare l’Experience Music Project a Seattle, opera avveniristica dell’archistar Frank Gehry con gli ottantamila cimeli rock del magnate Paul Allen (cofondatore di Microsoft): struttura gigantesca – «edificio al computer per la Internet Generation» dicono gli autori – dove primeggia una Hendrix Gallery, con la Fender che Jimi accarezzò a Woodstock, comprende spazi dediti a tutti gli illustri musicisti del luogo da Quincy Jones a Ray Charles, fino ai Nirvana e alla scena grunge in genere a cui è dedicata un’ampia parte della struttura.

Per le «case del rock» tuttavia, se si parla di cantanti, gruppi, solisti, il modello resta la Mozarthaus di Vienna, che, grazie a cofinanziamenti dell’Unione Europea, il 27 gennaio 2006 (ricorrenza del 250° anniversario della nascita di Wolfgang Amadeus Mozart) apre al pubblico tutti e sei piani dello splendido edificio barocco di Domgasse 5: si tratta dell’unico appartamento rimasto nella capitale austriaca fra i dodici abitati dal compositore salisburghese, che, qui scrive grandi opere come Le nozze di Figaro e Il flauto magico. Oltre conservare pentagrammi e partiture, la Mozarthaus evidenzia la passione dell’autore per giochi e giocattoli, alternando reperti storici a installazioni audiovisive, proponendo altresì una scelta di collegamenti con la Mozart Hall per quanto riguarda i concerti, accogliendo nei primi tre anni ben 340mila visitatori.

Inutile aggiungere che le diverse case-museo dei compositori italiani (perlopiù ottocenteschi) versano in pessime condizioni, mentre all’estero con gli esempi dedicati via via a Elvis Presley, Willie Nelson, Dolly Parton, Anne Murray, Bob Marley, Fela Kuti, gli Allmann Brothers, i Ramones, gli Abba, i Beatles si crea un felice equilibrio di messinscena pop su ogni singolo microcosmo sonoro.

Abba the Museum

Questo museo è aperto dal 7 maggio 2013, nel pieno centro di Stoccolma, ricavato nella grande Swedish Hall of Fame, in un edificio ottocentesco (già dogane svedesi), rinnovato per l’occasione in un trionfo di legno e cristalli. E il maggior gruppo pop scandinavo, dagli esordi locali all’ Eurovision Song Contest (1974) ai megasuccessi internazionali con Waterloo, Dancing Queen, Voulez-Vous, Mamma Mia è in mostra attraverso dischi d’oro e soprattutto i costumi sexy indossati, durante i Seventies, da Frida e Agnetha o le «divise» altrettanto scintillanti ma decisamente kitsch di Björn e Benny. Il museo è interessante per svariate funzioni interattive, tra cui una pista da ballo in puro stile disco e un programma di ologrammi, pensato appositamente per il brivido del live e per sentirsi come il quinto membro degli Abba, indossando durante la performance un costume digitale come la tunica da tigre di Frida o la tutina gattesca di Agnetha.

Graceland Mansion

Elvis Presley compra nel 1957 circa sessantamila metri quadri di terreno a Memphis (Tennessee) con dentro una sontuosa dimora (oggi ubicata al 3734 di Boulevard Elvis Presley) in stile coloniale, fatta erigere dal dottor Thomas Moore nel 1939 su una cadente fattoria. La villa è costruita in pietra calcarea e si compone di 23 camere, di cui otto da letto e cinque bagni, mentre il patio contiene quattro colonne ed è sovrastato da due grandi leoni in pietra appollaiati su entrambi i lati del portico. Acquistata all’epoca per centomila dollari e ribattezzata Graceland, sarà la casa del re del rock’n’roll per vent’anni, sino alla morte (1977). Il nome rimane anche quando dal 1982 diventa museo, tra l’altro uno tra i più visitati in tutti gli Stati Uniti. I turisti (spesso illustri come gli U2, qui immortalati dal film Rattle and Hum) possono ammirare i costumi del re del r’n’r, la collezione di automobili, la piscina a forma di chitarra, un campo di racquetball, il cancello in ferro battuto a tema musicale e la famosa Jungle Room, con tanto di cascata interna: la stanza viene però trasformata in studio di registrazione, dove Elvis lavora ai suoi ultimi due album. Restano off-limits la camera da letto di Presley e il bagno dove è collassato.

The Beatles Story

Anche i superfan incalliti, visitando questo piccolo museo, che si trova nella città natale dei Fab Four, esattamente in Britannia Vaults su Kings Dock (Liverpool), potranno scoprire qualcosa che non conoscono. Nel bellissimo complesso portuale dell’Albert Dock, sede di altri musei e antico deposito commerciale per i mercantili, lo spazio museale beatlesiano infatti espone ad esempio: gli occhialini di Lennon; una delle primissime chitarre di George Harrison (marca Gretsch); l’intera raccolta di rare foto alla band appartenenti a Paul Berriff (che solo nel 2010 ha riscoperto la collezione nella sua soffitta); persino una ricostruzione del Cavern Club, il bar seminterrato dove la band si esibisce poco prima di diventare famosa. Ma tutta Liverpool è ormai una sorta di museo all’aperto su Beatles e beatlesmania, con autobus turistici a scorrazzare da Penny Lane agli Strawberry Fields, passando dalle modeste case natali dei quattro a ciò che resta (quasi nulla) dei mitici localini rock.

Chasing Rainbows

È noto anche come The Dolly Parton Story questo museo aperto dal 2002 nel parco tematico presso la città di Pigeon Forge nel Tennessee. E si tratta ovviamente del museo della cantante pop-folk, in patria quasi un’istituzione, celeberrima per le vaporose parrucche bionde, le unghie laccate lunghe anche tre centimetri e soprattutto le scollature da cui pare fuoriuscire un seno naturale enorme, mentre il resto, oggi, per la sessantasettenne regina country è puro lifting. Ecco quindi centinaia di memorabilia tra decoratissimi abiti di scena e costumi usati in tanti film (compreso l’eccellente Dalle nove alle cinque), non senza la valanga di premi di una carriera prossima al mezzo secolo. Ci sono a Chasing Rainbows i momenti più belli della vita di Dolly Parton come la laurea honoris causa conferitale per meriti artistici dall’Università del Tennessee nel 2011: oltre il quadro con il diploma, anche il cappello e l’abito, che indossò per la solenne cerimonia.

Anne Murray Centre

La vocalist canadese Anne Murray è così venerata nella sua città natale – Springhill, in Nuova Scozia, località conosciuta ai più per le miniere di carbone – che i cittadini del posto le dedicano fin dal 1989 un museo alla carriera esplosa, nel 1970, a venticinque anni, con il brano Snowbird, grazie al quale è la prima donna canadese a trionfare nelle classifiche musicali degli Stati Uniti e a vincere un disco d’oro, mediante un country melodico, poco nota in Italia, ma capace, in patria, di fare da apripista ad molte altre pop o rock girl sue conterranee: Alanis Morissette, Nelly Furtado, Céline Dion, Sarah McLachlan, Shania Twain. Nel piccolo istituto aperto da maggio a ottobre, i visitatori possono vedere abiti, strumenti musicali, dischi superpremiati (al momento il suo record è di 54 milioni venduti) della protagonista; e nello studio di registrazione, concepito per gli adolescenti, i fanatici possono tentare un duetto virtuale con la stessa Anne Murray.

The Allman Brothers Museum

I membri – Dick Oakley, Duane e Gregg Allman più sorelle e consorti – del celebre gruppo southern rock usano questa residenza in buffo stile tirolese, rinominata Big House e situata al 2321 di Vineville Avenue a Macon (Georgia) già dal 1970 come base di partenza durante i primi anni di vita artistica e comunitaria. Nel 2009 la «grande casa» apre come museo, dove gli appassionati possono visitare tutte le camere, comprese quelle decorate a mano dagli stessi Allmann, e rendersi conto di come vive un’allegra comune di impenitenti fricchettoni nei primi anni Settanta, in un edificio tentacolare tra vecchi strumenti, vestiti casual, foto sbiadite e altro ancora. Eloquente la sala della musica progettata da Linda e Berry che vanno in autostop ad Atlanta per comprare lo stereo e alcune decorazioni indiane onde farne un buen ritiro confortevole.

Ramones Museum & Bar

Come mai un museo dedicato ai più celebri punk rocker di New York si trova Berlino? Il fan incallito Flo Hayler apre un locale nel 2005 per sistemarvi la propria collezione di cimeli (messa insieme dal 1990 appena diciottenne) che sta crescendo a dismisura fino a invadere ogni centimetro quadrato del suo appartamento. Dalla prima minuscola sede (che però in soli due anni accoglie diecimila visitatori) il museo trasloca in uno spazio più ampio, esattamente a Krausnickstrasse n° 23, dotandosi di uno shop fornitissimo di gadget e memorabilia. Il Ramones Museum – che vuole essere un punto d’incontro per i fan di tutta la musica e che perciò ospita una tantum concerti rock – raccoglie soprattutto foto dal 1974 al 1996 e i famosi giubbotti di pelle nera appartenuti via via a Joey, Johnny, Dee Dee, Ritchie, Tommy Ramone.

Bob Marley Museum

A cinque anni dalla scomparsa di Bob Marley (1981), la moglie Rita si rivolge alla amata Kingston, capitale della Giamaica, facendo della casa da loro abitata per lunghi anni, un’autentica istituzione basata sulla vita e sull’eredità del grande musicista reggae. La casa in legno – al 56 Hope Road, anche sede dell’etichetta Tuff Gong (fondata nel 1970 dai Wailers) e teatro nel 1976 di un tentativo di omicidio, a sfondo politico, nei confronti dello stesso Bob – è di fatto una villa in stile vittoriano, ombreggiata da alberi di palma, che oggi contiene gli effetti personali di Marley, dai numerosi premi ai molti dischi d’oro, fino ai proverbiali abiti in jeans che indossa ai concerti. Il museo, collegato a una Fondazione Bob Marley, ogni febbraio ospita anche una settimana di celebrazioni del compleanno con musiche, dibattiti, conferenze, spettacoli sull’indiscusso protagonista della cultura rasta.

The Kalakuta Republic Museum

Il 15 ottobre 2012 apre tra Gbemisola Street e Allen Avenue nel municipio di Ikeja (facente parte della tentacolare megalopoli di Lagos in Nigeria) la casa-museo del musicista forse più originale e influente dell’Africa: il cantante, compositore, pluristrumentista Fela Anikulapo Kuti (1938-1997). La bianca architettura razionalista su due piani, che in vita è la dimora della famiglia allargata del leader (anche politico) del movimento afrobeat (inviso, come Fela, al locale regime fascistoide) ora celebra le gesta del protagonista, evidenziando proprio la componente ideologica (Kuti è di frequente arrestato con l’accusa di testi sovversivi, mentre in realtà si limitano a denunciare il regime), non senza esporre la quotidianità esistenziale, giorno per giorno: tra ritagli di giornale e i manoscritti dello stesso Anikulapo, si alternano oggetti comuni e soprattutto le tuniche fiammeggianti e le numerose scarpe multicolori, che, tra Seventies ed Eighties, rendono suggestive le performance concertistiche.

Willie Nelson and Friends Museum and General Store

Questo santuario dedicato alla «leggenda del contry» è solo uno dei tanti musei musicali che hanno dato fama e lustro a Nashville, nel Tennessee, dagli anni Settanta a oggi: il Museo – in realtà fondato nella vicina Madison il 4 luglio 1979 – sull’ottantenne cantautore statunitense si trova di fronte alla Grand Ole Opry House al 2613 di McGavock Pike, in un basso edificio di colore blu, che ricorda i vecchi drugstore americani. Il museo possiede molti artefatti della lunga carriera di Willie Nelson, tra cui la chitarra usata per il debutto dal vicino di casa nel 1963, mentre della celebre Trigger, ovvero una Martin con il nome del cavallo di Roy Rogers (mitico cantante cowboy) che impiega ininterrottamente dal 1969, si può ammirare solo una copia. Altri cimeli sono invece acquistati mediante aste organizzate dal fisco nei primi anni Novanta quando l’artista deve, in tasse, al governo, circa 16 milioni di dollari.