Fine della corsa per Frauke Petry: la leader di Alternative für Deutschland getta la spugna nella sfida alle elezioni federali del 24 settembre.

Ieri l’annuncio di un doppio passo indietro: «Non sono disponibile a correre come candidata alla cancelleria né da sola né in squadra e neppure a ricoprire incarichi dirigenziali nel partito».

Salta così, con un video su Facebook, la testa del capo dei populisti tedeschi che accusa il suo partito di «non avere una strategia né saper curare l’immagine esterna».

In realtà pesano «le vicende personali» cioè la fronda dell’ala ultra-destra di Afd che da mesi chiede la testa di Frauke, rea di dividere il partito. «Ora non ci sarà più alcun gioco solitario» sentenzia il responsabile per la Bassa Sassonia Paul Hampel.

Con la rinuncia di Petry alla candidatura si allontana l’equivalente della “svolta di Fiuggi” perseguita dalla leader 41enne: «Il partito borghese del popolo» parte di una più ampia coalizione della destra “presentabile”.

Esattamente l’orizzonte che non digerisce l’anima nera di Afd a vario titolo legata alla galassia neonazista che la appoggia fuori e dentro le urne. Teste calde, «elementi poco rappresentativi specializzati nella massima provocazione» lamenta Petry accusandoli di «spaventare i votanti con dichiarazioni che spiazzano la linea del partito e fanno fuggire i consensi: nel 2015 sulla soglia del 30%, oggi ridotti a metà».

La guerra aperta tra le due componenti di Afd era diventata di pubblico dominio il 27 marzo durante il congresso regionale sassone a Weinböhla, vicino a Dresda. Sul palco Petry era scoppiata in lacrime dopo aver subito l’attacco verbale dell’ultra-destra, tra cui l’antisemita Björn Höcke, leader della Turingia che bollò l’Olocausto come «una vergogna», e che Petry avrebbe voluto cacciare da Afd.