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Petronio, ibridare i modelli per compiacere lettori molto abili

Petronio, ibridare i modelli per compiacere lettori molto abiliDal Fellini Satyricon di Federico Fellini, 1969, il film con i costumi di Danilo Donati, liberamente tratto dal romanzo di Petronio

Filologia classica Dai seminari pisani anni Ottanta ai convegni internazionali promossi a Firenze, il Satyricon è stato per Mario Labate, latinista di fine capacità interpretativa, un «libro della vita»: i suoi contributi nelle Edizioni della Normale

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 10 luglio 2022

Tredici contributi di Mario Labate pubblicati fra il 1986 e il 2019 in sedi editoriali prestigiose, più un inedito appaiono ora in veste unitaria per le Edizioni della Scuola Normale: Petronio Ricostruzioni e interpretazioni (pp. 286, euro 28,00), segno tangibile della sua ininterrotta frequentazione dei Satyrica, legata prima ai seminari coordinati da Gian Biagio Conte a Pisa, proseguita con quelli condotti in prima persona a Firenze ed estesasi all’organizzazione di tre convegni internazionali dedicati alla Cena Trimalchionis e di altrettanti Cantieri petroniani. Il volume vede la luce grazie all’iniziativa di Giulio Vannini e Giovanni Zago che, allo scoccare del settantesimo compleanno dell’amico e maestro, hanno deciso di dare alle stampe larga parte dei suoi saggi petroniani.

La trattazione, sia detto subito, è improntata a uno stile brillante e avvolgente, di forte impatto sul lettore. Del resto, Labate non è soltanto un latinista squisito, un critico letterario di prim’ordine, un interlocutore estremamente agguerrito: ha il dono della scrittura come pochi. Una scrittura elegante, personalissima, contigua al suo ‘parlato’, punteggiato di umorismo e ironia. Ma veniamo al taglio interpretativo, ai contenuti e agli obiettivi di questo libro.

Riarticolare il dibattito sui Satyrica aggirando i luoghi comuni di una letteratura secondaria arroccata su stereotipi stantii e ridimensionando il portato di logore etichettature costituisce il filo rosso dei dieci lavori riuniti nella sezione denominata ‘Critica del discorso narrativo’ e dei quattro riuniti nella sezione dedicata alla ‘Critica del testo’. L’esigenza di ‘svoltare’ dinanzi a molti idola Academiae, progressivamente consolidati in idola scholae, caratterizza le principali direttrici di ricerca seguite dall’autore, così sintetizzabili:

  1. ridefinizione del complesso profilo identitario di Trimalchione;
  2. riesame della poliedrica fisionomia culturale di Eumolpo;
  3. valorizzazione dello spessore intertestuale della scrittura petroniana;
  4. ridiscussione di passi controversi dal punto di vista testuale.

Muoviamo dal primo filone.

Ben tre capitoli del volume (III, IV e V) ruotano intorno al protagonista della Cena. Motivatamente grande attenzione è riservata alla dimora di Trimalchione e alla distribuzione degli ambienti che ne definiscono l’imponenza e la sontuosità, riflesso della posizione socio-economica rivestita dal padrone di casa, ma non meno significativo appare l’interesse rivolto alla struttura enigmistica del banchetto al cui interno viene programmata con cura ossessiva la strategia di accoglienza e d’intrattenimento dei commensali, destinati ad atipiche collocazioni tra i letti tricliniari (un ‘lascito’ del Simposio platonico?) e ad una serie di portate che stupisce per vistosità e per sorprese celate all’interno di ciascuna di esse.

Per altro verso, ampio spazio è concesso all’analisi delle scombiccherate cognizioni mitologiche del lautissimus homo, interpretate non più come prova di una conoscenza insufficiente di nozioni basilari per chiunque detenga una benché minima istruzione e una memoria accettabile, quanto piuttosto come effetto di un tentativo di aderire alle mode dei circoli più esclusivi, dei ‘professionisti della letteratura’, mode descritte da Quintiliano nella Institutio oratoria (1, 8, 18-21), legate alla ricerca di versioni peregrine e astruse di miti e pronte a far ricorso all’inventiva, alla falsificazione, alla mistificazione in barba alla più elementare deontologia professionale.

A sua volta, lungo il VII capitolo viene delineato un esemplare profilo di Eumolpo a complemento di un’altra, per noi ben più nebbiosa, figura di professionista addetto alla cultura, quella di Agamennone. Story-teller sommamente godibile e, nei propri auspici, poeta non humillimi spiritus (Petr. 83, 8), a primo acchito Eumolpo sembrerebbe contrassegnato da disparità fra il formidabile narratore di novelle milesie e il poeta ripetutamente lapidato o malmenato o comunque deriso dai fanciulli. Un intellettuale emarginato diremmo oggi, «uno di quei letterati che i ricchi non possono soffrire» − come, per parte propria, non esita a definirlo Encolpio (83, 7) − esplicito nel proporsi come poeta in generale anziché come poeta di uno specifico genere letterario, e che comunque ha abbracciato un prototipo di vita contemplativa identificabile con la scelta stessa della poesia. La pluralità dei volti del personaggio permette al lettore di constatare la complessità di cui è dotata la sua figura, non riducibile a una meccanica contrapposizione fra il poeta e il narrator, dal momento che, come puntualizza Labate: «Non bisogna dimenticare Eumolpo critico letterario, retore e oratore, moralista e filosofo, Eumolpo giurista, Eumolpo educatore, Eumolpo regista di intrighi romanzeschi e di mascherate mimiche» (p. 141). Un personaggio a sé stante all’interno dei Satyrica, dunque, emblematico nel compendiarne i tratti peculiari e le differenti matrici genetiche, dotato di «forti connotazioni metaletterarie, perché… capace di rispecchiare, nella propria forma, la forma stessa del testo» (ibid.). Per paradosso, spetterà a lui rappresentare l’idea petroniana della marginalità della poesia in qualunque contesto e in qualunque occasione, sebbene essa ricerchi di continuo occasioni di ascolto. Irreversibile appare ormai la perdita degli spazi sociali della poesia, del pubblico d’un tempo, delle ragioni della sua stessa autonomia, delle ambizioni che la caratterizzavano in passato.

Proprio per questo le sassate riservate a Eumolpo non rappresenterebbero la reazione alla qualità delle sue performances, ma alla poesia in sé, una reazione che non sortisce comunque particolare stupore in età neroniana. Poeta per vocazione, il personaggio uscito dalla fucina di Petronio finirebbe comunque per essere eminentemente uomo della ‘prosa’: non a caso in 83, 10, dichiarando la propria scelta esistenziale (ego poeta sum…), egli non mostra esitazioni nel qualificarsi ricorrendo alla più ‘prosastica’ tra le doti di un poeta, l’eloquenza (sola pruinosis horret facundia pannis v. 5: l’eloquenza solo rabbrividisce sotto panni ghiacciati, tr. A. Aragosti).

Nei capitoli VI, VIII, IX e X del libro l’autore pratica un approccio ai Satyrica di tipo più dichiaratamente intertestuale, indugiando su casi di riscritture di modelli, su ibridazioni di immagini, su mutuazioni di tropi. All’analisi sorvegliata di Labate non può sfuggire l’eterogeneità degli echi letterari riconoscibili nella scrittura petroniana: rispetto al corposo numero di allusioni a poesia greca e latina allineato nei commenti specifici e in contributi particolari, risulta più insistito il rinvio a poeti di età augustea quali Orazio da un lato e Ovidio dall’altro.

Indubbiamente i nuovi raffronti arricchiscono non poco la nostra conoscenza dello ‘scrittoio di Petronio’, degli autori con cui egli predilige misurarsi, trattandosi, nello specifico, di due ‘classici’ già all’epoca in cui si dedicava alla composizione dei Satyrica. Le riprese, le allusioni risultano fortemente connotate dalla cifra personale dello scrittore che strizza l’occhio, in modo compiaciuto, alle capacità di lettura dei propri destinatari, dei quali presume essere particolarmente vigile la capacità di cogliere l’esatto spunto compositivo, l’esatta fonte ispiratrice pur nel gioco delle parodie, delle riscritture ammiccanti e, talora, beffarde da lui realizzato.

Un discorso a parte andrebbe fatto per le quattro raccolte di Note petroniane ospitate nel volume, trattandosi di interventi di critica testuale. Non è naturalmente questa la sede più idonea a scendere sul terreno della discussione sistematica di varianti o del maggiore o del minore tasso di plausibilità di una congettura avanzata per migliorare la comprensione di questo o di quel passo: dirò soltanto che, ancor prima di occuparsi materialmente di una lacuna, di una corruttela o di un brano decisamente problematico, Labate si preoccupa, e pour cause, di contestualizzare la discussione filologica in senso stretto.

Dopo aver ritessuto attentamente le maglie della cornice narrativa, riconsiderato lo statuto del personaggio ‘parlante’, soppesato le circostanze specifiche in cui il lemma o i lemmi sospetti, tramandati dalla tradizione manoscritta, ricorrono, lo studioso avanza la propria proposta, forte di un raffinato possesso della lingua latina e di un’invidiabile conoscenza dello stile di Petronio. Con pacatezza e lucidità Labate offre soluzioni convincenti per venire a capo di loci vexati e vexatissimi che hanno fatto versare fiumi di inchiostro, soluzioni talora sanamente conservative, offrendo, una volta di più, una lezione esemplare di equilibrio e di misura nel non avventurarsi nel gioco virtuosistico del ritocco ad ogni costo.

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