Le mozioni di sfiducia saranno discusse e votate. Però non subito, ma il 19 aprile. L’ordine di Matteo Renzi è tassativo: nessuna discussione in Parlamento, nessuna mozione di sfiducia prima del referendum del 17. I capigruppo di maggioranza al Senato eseguono, sfidando impavidi il ridicolo: che bisogno c’è di votare le mozioni quando proprio oggi c’è già stato un voto di fiducia sulla riforma delle banche di credito cooperative? Una specie di fiducia a forfait. E perché mai il governo dovrebbe riferire tempestivamente sul caso, quando la ministra si è già dimessa? Chi ha avuto ha avuto chi ha dato ha dato e non se ne parli più. In effetti tanto non se ne deve parlare che il governo non ha neppure informato ufficialmente il Parlamento delle dimissioni di Federica Guidi. Inutile perdere tempo: che i parlamentari non leggono i giornali?

Di fronte alla sala dove è riunita la conferenza dei capigruppo i parlamentari del Movimento 5 Stelle occupano i corridoi, protestano, alzano cartelli con su scritto: «Sfiducia». Dietro la porta chiusa i capigruppo d’opposizione, quelli veri ovviamente perché i verdiniani sono di fatto il pilastro della maggioranza, insistono come possono. Niente da fare. Il presidente Pietro Grasso e gli ufficiali del premier fissano la data come Matteo comanda. A urne referendarie chiuse. Le truppe di palazzo Chigi respingono in aula anche la proposta di Sinistra italiana di calendarizzare la discussione sull’istituzione di una commissione d’inchiesta sui rapporti tra politica e petrolieri.
«Sia ben chiaro – spiega Luigi Di Maio, M5S – che i due fronti, referendum e sfiducia, sono due cose diverse. Il referendum è sulle trivellazioni e Renzi ha avuto sfortuna, come ebbe sfortuna Berlusconi col referendum sul nucleare purtroppo preceduto di poco dal disastro giapponese. Ma la sfiducia è contro un governo che è comitato d’affari a tutto campo: sul petrolio, sulle banche, su tutto». Noi, conclude il golden boy pentastellato «voteremo comunque tutte le mozioni di sfiducia».

In realtà, però, il legame tra la prova referendaria del 17 aprile e il fattaccio di Potenza è particolarmente stretto e quindi pericoloso per il governo. Lo spiega Loredana De Petris, capogruppo di Sinistra italiana, in aula, nel tempestoso dibattito che fa seguito al blitz: «Non è vero che sono cose diverse. Prolungare la concessioni a vita è un favore ai petrolieri, proprio come le vicende che ogni giorno di più stanno emergendo a proposito di Tempa rossa».

L’esistenza di quel legame è chiara per Renzi più che per chiunque altro. Quando il ministro Graziano Delrio afferma che il governo è «sereno sulla mozione di sfiducia» è sincero se ci si limita al voto dei senatori, anche se il soccorso della truppa mercenaria di Verdini sarà necessario. Molto meno per quanto riguarda le ricadute sull’opinione pubblica e sul referendum. Il quale, proprio in virtù dello scandalo, ha acquistato un’importanza molto maggiore, per il governo, di quanto non fosse una settimana fa. Prima delle dimissioni della Guidi, il raggiungimento del quorum e la vittoria dei Sì sarebbero stati un incidente di percorso. Oggi sarebbero un voto di sfiducia popolare nei confronti del governo, l’inizio della fine per Matteo Renzi. Nasce di qui l’esigenza di evitare un dibattito parlamentare, col relativo fragore mediatico, prima dell’apertura delle urne.

E tuttavia, nel Pd, c’è chi è convinto che il rinvio non sia la tattica più utile. Certo, discutere le mozioni di sfiducia martedì prossimo, come chiedevano le opposizioni, era fuori discussione per tutti. Ma non sarebbe stato più astuto votare subito e sbrigare così la faccenda? C’è infatti il rischio che da qui al 17 aprile, con la mozione di sfiducia incombente e l’inchiesta in marcia, la tensione invece di affievolirsi s’impenni.

Molto dipenderà dall’interrogatorio di oggi dell’ex ministra dello Sviluppo economico Guidi. La sua posizione è molto più delicata di quella della collega Maria Elena Boschi. E’ la Guidi che dovrà infatti spiegare la telefonata in lacrime in cui accusava l’ex compagno di usarla. E’ la Guidi che dovrà chiarire come nacque quell’emendamento che, nonostante le smentite del governo e del Pd, fu proprio infilato nella legge di stabilità con un blitz notturno. Se non riuscirà a farlo, ad andarci di mezzo non sarà solo lei.