Carlo Petrini, un mese di Expo è sufficiente per un primo bilancio. Come va al padiglione Slow Food?

Il nostro padiglione è sistemato in una zona che prevedeva un flusso di visitatori del 30% e invece siamo attorno allo 0,5%. Siamo in fondo all’Expo dove non arrivano gli autobus e nemmeno i taxi, per questo abbiamo sofferto un primo mese di scarsa affluenza. E’ un problema logistico che non penalizza solo noi. Da una settimana però hanno messo un tram per decongestionare l’ingresso principale, e sta andando un po’ meglio. Per il resto, lo vedi anche tu come sta andando.

E come sta andando?

Ci sono stato una volta, l’aspetto è quello di una grande fiera dove le nazioni e i grandi potentati alimentari si confrontano. Poi ci sono anche Coldiretti e il Vaticano, e ci siamo noi. Insomma l’esposizione è il trionfo del capitalismo e forse non poteva essere altrimenti, le contraddizioni ci sono e sono evidenti, io l’avrei pensata diversamente da una grande kermesse. Ma alla fine ci troviamo tutti lì, la sedia vuota non paga.

Se l’Expo è una gigantesca fiera dove si vendono cibo e poche idee per nutrire il pianeta, la Carta di Milano passerà per la sintesi virtuosa di questi sei mesi di esposizione universale. Slow Food la sottoscriverà?

Così com’è merita ancora di essere discussa. Ci sto riflettendo, la prossima settimana presenterò un documento per sottolineare alcune carenze della Carta di Milano. Non si dice nulla sulla proprietà delle sementi, e questo è un problema nodale per le agricolture del mondo. Vorrei più enfasi sull’economia di piccola scala, per valorizzarla. Poco si dice anche sulle logiche del libero scambio (il TTIP) mentre su quell’altare si sta sacrificando tutto: lo dice anche il Papa, questa economia uccide.

Se il libero scambio ha ragione d’essere così com’è, senza correzioni, in campo agricolo e per le derrate alimentari diventa elemento di sofferenza per milioni di piccole entità agricole e familiari. Le piccole realtà oggi sono sotto lo schiaffo delle speculazioni finanziarie sulle derrate alimentari. La Carta di Milano su questi temi dovrebbe mostrare più coraggio, il ministro Martina dice che è un documento ancora aperto, staremo a vedere.

Come è cambiata la vostra associazione dopo tutti questi anni? Adesso siete molto popolari, è una buona notizia, ma forse tra il vostro pubblico oggi viene a mancare quella carica ideale e militante di un tempo. Insomma, qual è lo scotto da pagare per aver avuto tanto successo?

La popolarità fa piacere. Siamo stati i primi ad intercettare e diffondere tematiche che oggi vengono discusse e condivise su scala planetaria. Noi rappresentiamo cittadini responsabili e non solo consumatori, ma ci sono associazioni che condividono il nostro lavoro, come Via Campesina, che rappresentano le comunità agricole del mondo.

Il successo è sempre croce e delizia: è positivo che si discuta di educazione alimentare, ma bisogna stare attenti a non banalizzare il messaggio agricolo e gastronomico trasformandolo in uno show commerciale.

Un tempo c’era da un lato il sindacalismo contadino e dall’altro l’elitarismo dei gourmet, noi abbiamo avvicinato questi due mondi. Di cibo si è sempre parlato, non credo che sia un fenomeno così nuovo, l’importante è che si comprenda tutta la filiera e non solo l’aspetto ludico della faccenda, l’agricoltura, la trasformazione delle materie prime, il lavoro che spesso significa sfruttamento e bassi salari. Non basta limitarsi a parlare di ricette.

L’appuntamento più importante di questo 2015 particolare l’avete intitolato Terra Madre Giovani. Cosa succederà dal 3 al 6 ottobre?

La rete di Terra Madre esiste dal 2004. Undici anni fa eravamo presenti in sessanta paesi e col tempo siamo cresciuti. Oggi questa comunità di contadini, pescatori, piccoli allevatori, ma anche di cuochi ed esperti dell’alimentazione è presente in centosettanta paesi. In via eccezionale quest’anno abbiamo deciso di organizzare un evento di portata mondiale proprio a Milano portando più di 7 mila persone a discutere di cibo come avrei voluto che se ne discutesse all’Expo. Abbiamo deciso di puntare sui giovani sotto ai quarant’anni, sono loro i protagonisti del futuro.

Discutere di cosa in particolare?

Per esempio del trattato internazionale sul commercio (TTIP) che così come è concepito non funziona proprio, anzi, rischia di mettere in ginocchio la produzione agricola e soprattutto i contadini europei che dovranno fare i conti con i prodotti degli Stati Uniti che non sono sottoposti ai nostri divieti (pesticidi, antibiotici, Ogm). Questa logica per cui le derrate devono viaggiare liberamente senza troppe regole penalizza le realtà che sono vincolate a determinate regole produttive. Discuteremo anche di biodiversità e cambiamenti climatici, di acqua, di fertilità dei suoli.

Il nostro vuole essere un messaggio forte proprio all’Expo: non si può continuare a parlare di nutrire il pianeta senza coinvolgere i contadini e i pescatori. Questa esposizione universale è rivolta ai consumatori, ci sono padiglioni che mostrano un’opulenza incredibile e appartengono proprio a quei paesi dove vivono comunità agricole in forte sofferenza.

Terra Madre Giovani sarà all’Expo?

No, sto parlando di un incontro con diecimila persone che arriveranno da tutto il mondo. La cerimonia inaugurale si terrà il 3 ottobre al Forum di Assago, poi workshop e assemblee si terranno in una ventina di teatri milanesi. Il 6 ottobre andremo a fare visita all’Expo, così i contadini potranno valutare come i rispettivi paesi hanno trattato il tema dell’alimentazione. Sarà un evento molto importante e vogliamo che la città di Milano sia coinvolta, per questo vorrei lanciare un appello.

Prego, dica pure.

Nei prossimi giorni lanceremo una campagna per chiedere che questi giovani contadini vengano ospitati nelle case dei milanesi. Non possiamo permetterci di alloggiarli in un albergo. Sarebbe bellissimo se Milano adottasse queste persone per qualche giorno. Dario Fo ne ospiterà tre, Adriano Celentano quattro, e ho già parlato con il cardinale di Milano per chiedergli di aiutarci ad organizzare l’accoglienza. E non è tutto, abbiamo bisogno di un altro tipo di aiuto. Soldi. Un contadino africano che guadagna 50 euro al mese, se li guadagna, per venire a Milano non deve mangiare per un anno, ecco allora che dobbiamo trovare le risorse per permettere a queste persone di venire nella città dell’Expo, dobbiamo garantire loro il diritto al viaggio.

Ecco perché abbiamo lanciato una raccolta fondi online, la piattaforma è già attiva sul sito www.wefeedtheplanet.com. Questi giovani contadini vogliono organizzare una grande tavola con i senza tetto di Milano, perché anche in questa città ci sono persone che hanno problemi con l’alimentazione. Questo è il loro messaggio, altro che ostentazione consumistica. Vogliono fraternizzare e fare gruppo, non è solo critica all’Expo è un altro modo di essere e di stare nel mondo.