Peter Van den Ende, esplorazioni marine, a fumetti
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Peter Van den Ende, esplorazioni marine, a fumetti

Intervista Conversazione con l'autore belga, che ha presentato alla Bologna Children’s Bookfair «Il viaggio», edito da Terre di mezzo

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 aprile 2022

La parola fiamminga Zwerveling, tradotta con l’inglese The wanderer ha in sé un senso di vagabondaggio che Il viaggio, titolo italiano dell’albo illustrato vincitore della neonata categoria narrazione per immagini del Premio Strega ragazze e ragazzi, non rende del tutto. Vero è però che la storia raccontata da Peter Van den Ende della barchetta di carta che solca gli oceani incontrando creature meravigliose e terribili è un vagabondaggio epico e talmente articolato e completo, da assumere le dimensioni del viaggio per antonomasia. Abbiamo parlato con l’autore seduti allo stand dell’editore Terre di mezzo, pochi minuti dopo la premiazione alla Bologna Children’s Bookfair.

Congratulazioni intanto per il premio e per il successo del tuo libro di esordio. Prima di iniziare a fare il disegnatore hai lavorato come guida turistica alle Isole Cayman: credi che queste due esperienze siano collegate in qualche modo?
Ho studiato biologia, ma ero un pessimo scienziato, così sono diventato guida ambientale e ho lavorato alle Isole Cayman per due anni. Il mio compito era quello di portare i turisti in giro, soprattutto in mare a fare immersioni per conoscere la barriera corallina, spiegare com’è fatta e quali animali ci vivono; la parte interessante però era andare in kajak nella foresta di mangrovie, un ambiente meno usuale e noto della barriera. Si tratta di un contesto naturale pieno di mistero, specialmente se esplorato in immersione, quando si nuota tra le radici. La foresta di mangrovie non si vede tanto spesso in televisione, è meno frequentata; qui sembra di stare in un altro mondo, quasi in un quadro impressionista, per i giochi della luce che passa tra le piante e entra in acqua. È sorprendente, è uno spazio del tutto misterioso, dove si nascondono creature inattese; a volte sono stato in immersione anche per otto ore consecutive , mi manca moltissimo.

Così tanto che hai dovuto recuperare in parte ispirandoti in parte a questo mondo marino per il tuo primo libro?
Certo, è un’esperienza che mi ha ispirato moltissimo e credo che questo libro sia la transizione perfetta tra due momenti e professioni. Nel libro c’è molto di quello che ho visto in quei due anni e ne sono particolarmente felice.

Protagonista di questa storia senza parole è una semplice e fragile barchetta di carta, in netto contrasto con la grandezza e la varietà delle creature che incontra. Alla barchetta possono essere attribuite molte interpretazioni simboliche
Ce ne sono molte possibili, è vero, ma non riesco a indicarne una su tutte. Il senso complessivo, specialmente del finale, è che ogni lettore possa trovare la propria interpretazione. Per questo il libro è senza parole e per questo non darò la mia versione, me posso forse spiegare che la barchetta è piccola e volutamente non si trova mai al centro dell’immagine nelle tavole, né al centro dell’azione, non ruba mai la scena. È un invito a guardare il mondo in modo meno autoreferenziale, un atteggiamento che manca alla specie umana, che vive in modo egocentrico, situandosi al centro del proprio universo. La barchetta è parte di un mondo che si muove per leggi proprie e non intorno a lei, una parte piccola di un universo molto complesso.

Credi che la nostra tendenza egocentrica ed egoista influisca nella scarsa considerazione che abbiamo dell’ambiente? Dal libro trapela una grande apprensione per lo stato del pianeta.
È una domanda molto complessa. La mia preoccupazione è l’estinzione di certe specie che avviene sempre più velocemente e per colpa nostra. Controlliamo la riproduzione e la vita di altre specie, ma non la nostra riproduzione. Basta guardare una qualsiasi immagine dal satellite per rendersi conto che il verde che vediamo non è naturale ma il risultato dell’opera umana. Prendiamo tutto e non lasciamo spazio agli altri animali, che quindi scompaiono, nella nostra totale indifferenza, mentre noi continuiamo a riprodurci. È questo il vero problema del pianeta, la sovrappopolazione: fenomeni come il riscaldamento globale o l’estinzione delle specie sono conseguenze. Pensiamo che negli anni ’60 eravamo 3 miliardi di persone e che in mezzo secolo siamo diventati più del doppio. Ecco anche il senso del nostro egoismo. La specie umana non è più degna o meritevole di altre, del resto anche loro sono sopravvissute tutto questo tempo sul pianeta, non capisco perché dobbiamo prendere tutto per noi. Quando mostro la barchetta sotto la piattaforma petrolifera non cerco di dare risposte, perché non ne ho, ma di trasmettere il senso di frustrazione di fronte allo sfruttamento forsennato delle risorse.

Per disegnare le creature che popolano il mondo del tuo libro hai preso elementi di realtà e li hai mischiati con altri immaginari. C’è un’ispirazione precisa in quest’operazione?
Farò degli esempi: nella tavola con l’iguana enorme a dodici teste, sei davanti e sei dietro. Nelle Isole Cayman ci sono iguana, ma non sono native, è stato l’uomo a inserirle nell’habitat delle isole e loro si sono riprodotte in modo smisurato. Nel disegno è come se avessi compresso questa quantità in un’unica spaventosa bestia, le ho fatto delle ali come a simbolizzare il fatto che proviene da un altro luogo, ma visto che non è colpa sua, le ho lasciato comunque un’apparenza amichevole, gli uccellini sembrano parlare con lei.

Ogni personaggio porta con sé una storia…
Sì, anche quella del suo nome: in un’altra tavola c’è una foca, che in olandese si chiama sea dog: ho preso alla lettera i nomi e li ho usati nell’illustrazione, visto che la stessa cosa accade all’elefante di mare, al pesce luna, al pesce napoleone, al pesce gatto etc.
Volevo disegnare un libro per il me bambino di sei anni perché amavo i libri di scienze naturali, con le illustrazioni dei fondali marini, ma anche le cose spaventose della natura: i primissimi piani di ragni e insetti mi facevano paura, ma continuavo ad osservarli, perché ne ero fortemente attratto. Per quanto riguarda il colore, diciamo che non vedo le cose a colori. La mia immaginazione è in bianco e nero. Ero anche completamente affascinato dalle edizioni illustrate dei libri di Jules Vernes- le incisioni di Alphonse de Neuville e Édouard Riou e posso affermare che il primo seme per questo lavoro sia stato piantato proprio durante la lettura di quei libri. C’è anche una piccola citazione per questi incredibili artisti, nell’illustrazione con i transatlantici.

Credi che la meraviglia e lo stupore siano un buon antidoto contro la paura?
Durante la premiazione hai espresso la tua soddisfazione nel vedere che il tuo libro è apprezzato anche dai bambini, perché la sua complessità grafica potrebbe sembrare più immediata per un lettore adulto. «Il viaggio» invece si può leggere e rileggere trovando a ogni lettura dettagli nuovi. Credi che la mancanza di parole e scelta del bianco e nero siano legate a questo fatto?
Penso che l’uomo sia una specie pioniera, nel senso che non possiamo evitare di esplorare e scoprire; penso a come ci siamo appropriati della terra, ai primi uomini che hanno attraversato il pacifico. Penso anche ai viaggi nello spazio-è vero inquinano molto-ma che lo vogliamo o no la vita a un certo punto sulla terra finirà, visto che sappiamo che il sole smetterà di bruciare. Credo che basandoci su quello che abbiamo fatto in un solo secolo passando dagli aerei di legno allo shuttle, faremo abbastanza presto a raggiungere un altro pianeta, ovviamente portando con noi la vita del nostro pianeta. L’esplorazione spaziale è importante in questo senso, per la nostra sopravvivenza e per far sì che possiamo evolverci in altre forme di vita. Lo so che suona come fantascienza, ma credo che in fondo sia quello che accadrà. Ho sentimenti contrastanti sull’umanità: ci disprezzo per come abbiamo trattato il pianeta e le atre specie viventi, ma ammiro la nostra spinta esplorativa e il nostro potenziale creativo.

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