Nei titoli di testa una matita, un pesce, un pulmino appaiono in una piccola animazione, curata da Lorenzo Terranera. Sono tracce di fantasia, figure che si muovono, sono semplici, immediate, «vere» come solo le illustrazioni dei bimbi sanno essere. È l’idea, l’immagine del gioco dentro un mondo disegnato e colorato su un foglio di carta quando la vita è appena cominciata. Così l’ha immaginato il regista Daniele Cini il mondo «dei piccoli» nel documentario Bambini guerrieri che domani Rai 1 trasmette alle 14.30.

Ideato insieme a Claudia Pampinella e prodotto dalla loro società Talpa, in collaborazione con Ra1 racconta la vita in una «casa speciale». Quella della Peter Pan Onlus, nata nel 1994, grazie alla determinazione di Gianna Leo e Marisa Fasanelli, madri accomunate dal dolore per la scomparsa, rispettivamente, di una figlia e di un figlio uccisi dal cancro, donne condotte dal sentimento lancinante della perdita al desiderio della dedizione e del sostegno agli altri. «La Grande Casa di Peter Pan» – che va avanti grazie all’apporto di oltre 200 volontari fra autofinanziamento e stanziamenti di privati e aziende, mentre a fine 2013 ha ottenuto dalla Regione il permesso per altri 5 anni di attività dopo un serio rischio di chiusura – è un centro ricettivo costituito da tre immobili con 33 abitazioni nel quartiere Trastevere a Roma, dal 2000 ha accolto più di 600 piccoli ospiti malati di tumore in cura all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e le loro famiglie non residenti a Roma o provenienti perfino da altri paesi, altri continenti, costrette a stare lontano da casa per diversi mesi pur di assistere i propri figli e molte volte non in grado di far fronte alle spese per alloggi prolungati in città.

Cini racconta questa realtà, i sei mesi fra le famiglie e i bambini della struttura, in un documentario di poco meno di un’ora. Ci sono i volti e le voci. Gli istanti, i dettagli, l’amore, il contatto, la condivisione. C’è la sofferenza, ma c’è soprattutto tanta vita perché quella dei Bambini guerrieri, spiega il regista, «è la guerra per la loro vita», resistenza esercitata nella forma del gioco, di una parola o di un gesto, in una danza scatenata, in un sorriso. E poi, alla fine, fuori, può esserci ancora il mondo da scoprire, un’altra possibilità, il ritorno a casa e il mare, la spiaggia per correre. E vivere. Perché in quella casa, spiega una madre: «i nostri bambini continuano ad essere bambini».