La rinascita del romanticismo alla fine del XIX secolo, dopo la stagione dell’impegno seguita alla fine dell’età di Goethe, dell’epigonismo Biedermeier e del realismo, solo faticosamente sbocciato in Germania, si deve a una grande opera storiografica positivista, La scuola romantica di Rudolf Haym del 1870, e a un capolavoro inclassificabile come Il romanticismo di Ricarda Huch, apparso in due volumi fra il 1899 e il 1902, in piena stagione simbolista.

Attraverso uno stratagemma letterario che seppe attirarle un vastissimo successo, Huch riuscì a dare una geniale sintesi del pensiero romantico – riveduto alla luce del neomisticismo di fine secolo: espose alternativamente capitoli filosofico-critici e storico-biografici, ottenendo insieme una ricostruzione profonda e vivida. L’espediente aveva la sua ragion d’essere in un’epoca che del romanticismo aveva largamente perso la memoria e esaltava l’esperienza vissuta, l’Erlebnis, come cellula spirituale fondativa della storia; letto dopo più di un secolo il libro di Ricarda Huch appare però ancora brillantissimo nelle sue parti speculative e faticoso nei suoi capitoli descrittivi.

Oggi che la stagione romantica e idealista è tuttalpiù oggetto di lezioni scolastiche e universitarie e suscita lo stesso disinteresse che ispirava al pubblico di età positivista, ci sarebbe bisogno di un’altra opera capace di rivitalizzare la conoscenza di quella formidabile stagione creativa della cultura letteraria, filosofica, scientifica e tecnica della Germania rendendola accessibile e interessante. Un’idea del genere deve essere baluginata alla mente di Peter Neumann, lirico e autore di formazione filosofica, e deve essere sembrata buona anche alla Einaudi, che si è convinta ad acquistare il titolo Jena 1800 (traduzione di Rossana Lista, pp. 192, € 24,00), concentrato sulla città al tempo in cui era ancora residenza di figure come Fichte, Schelling, Novalis, Schiller, i fratelli Schlegel e molti altri.
L’usanza di ricostruire un singolo momento della vita politica e culturale di una nazione o di una città non è nuova e ha prodotto studi notevoli su snodi epocali considerati a partire da un solo osservatorio privilegiato (notevole ad esempio il libro risalente a una ventina d’anni fa del germanista di Stanford Hans Peter Gumbrecht dedicato all’anno 1926). Di quegli studi però – per non dire della profondità e della qualità del gran saggio di Ricarda Huch – il libro di Neumann non ha nulla.

Lungi dal limitarsi a illuminare la costellazione di intellettuali radunati nella città della Turingia intorno al 1800, Neumann si disperde qua e là nello spazio e nel tempo, accumulando semplificazioni, approssimazioni, giudizi a dir poco discutibili, ricostruzioni di una superficialità abbacinante e – quel che è peggio – in un insopportabile stile da giornale scandalistico infarcito di banalità. La cosa vorrebbe risultare agile e divertente, ma lo zelo profuso dal Neumann non giunge a buon fine. Gli intellettuali romantici sono sempre chiamati per nome quando non per soprannome, i legami erotici all’interno del gruppo sono trattati con curiosità pruriginosa, la descrizione della filosofia critica kantiana è risolta così: «Kant vuole porre delle basi sicure per la filosofia. Ciò che possiamo conoscere degli oggetti dipende dalle forme del nostro intelletto e da quelle della nostra intuizione, e le forme della nostra intuizione sono spazio e tempo. Come le cose siano in sé, di questo, dice Kant, non possiamo sapere niente». E non basta.

Dei filosofi il lettore viene a conoscere più che altro l’aspetto fisico; l’attacco del capitolo il cui soggetto è Schelling suona così: «Qualcosa d’imperioso emana da lui, nel modo in cui se ne sta lì, con la testa buttata all’indietro, gli zigomi larghi, la fronte alta, le mani appoggiate con signorilità sulla cattedra». Dato che le fonti sono indicate in modo a dir poco sommario, che dibattiti secolari sono ridotti a una boutade, che appaiono nomi e personaggi completamente decontestualizzati, viene da chiedersi per chi sia scritto questo libro: un esperto si annoia e un inesperto non capisce nulla.