La tecnica del microscopio e quella del frammento sono alla base dell’autobiografia del batterista-compositore Peter Erskine: No Beethoven. La mia vita dentro e fuori i Weather Report (Arcana jazz, traduzione di Fabrizio Cristallo; pp. 305 più un’appendice fotografica, euro 25). Tecnica del frammento perché – con una scrittura piana e discorsiva, ricca di informazioni e dettagli – Erskine allinea sessantatre capitoletti a cui sono abbinate immagini fotografiche, spesso inedite (molte dell’autore, altre di musicisti, familiari o fotografi come il nipponico Shigeru Uchiyama che firma la copertina).

Ciascuno di questi frammenti, spesso dal titolo epigrammatico (Joe; Jaco; Le registrazioni Ecm; Vita, parte seconda…), chiarisce un episodio della soggettiva vicenda artistica ed esistenziale oppure mette in luce il pensiero di Erskine rispetto al lavoro del musicista, all’arte o al dilemma vita/morte. Il meccanismo narrativo, però, non è cronologico e ruota attorno all’entrata, alla permanenza e all’uscita nei Weather Report, in un ricorrente flashback. Ciò avviene soprattutto nella prima parte del libro ma anche nella seconda. dove il «legame» con il gruppo di Shorter e Zawinul non è reciso e l’autobiografia si chiude con una toccante Ultima lettera di Joe (poco prima della morte per tumore del tastierista). Anche

il titolo si ispira ad una frase che l’austriaco Zawinul disse ad Erskine nel 1979: «Beethoven non mi fa nessuna paura».
Il microscopio perché i sessantatre frammenti nascono, con evidenza, nel momento in cui sono stati vissuti, hanno una forza «documentaria» e costituiscono occasione per indagare argomenti che prendono spunto dall’accaduto ma vanno anche al di là. Ciò avviene in numerosissime e svariate occasioni: dagli anni formativi alle registrazioni, dai rapporti con i musicisti a quelli con case discografiche e aziende di strumenti, dall’amore per il Giappone al legame con i genitori, dalla filosofia del suono alle necessità economiche. Peter Erskine, ora leader ora sideman, si rivela, un osservatore attento della vita propria e altrui, un americano pragmatico, un viaggiatore instancabile che è diventato cittadino del mondo, un artista alla ricerca sempre di nuovi stimoli, un accorto amministratore del proprio talento.

In questo scorrere narrativo, fatto di continui salti nel tempo e nello spazio, passa quasi un quarantennio di jazz e musica, dagli esordi con Stan Kenton fino all’album con il cantante classico Thomas Quasthoff. Nel suo rigore Peter Erkine aggiunge al testo due robuste appendici: la prima dedicata alle «persone che appaiono in questo libro, ma che non hanno avuto spazio sufficiente» (p.245); la seconda a cinquanta album, da una discografia di seicento, «che per qualche motivo meritano una discussione separata» (p.279). Musicisti ed album dal 1974 al 2010 e oltre, per un’autentica parata della musica di un quarantennio.

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