Contano le parole, certo. Ma forse in questo caso conta di più capire chi le ha dette. La frase in ogni caso non si presta ad equivoci: «Il movimento pirata è morto». Finito. Inutile e inutilizzabile. Almeno per chi non si accontenta di emendare le voluminose direttive europee. Ma ha ambizioni più grandi. Più radicali. Parole, giudizi, si diceva. Che forse però assumono un significato diverso se si attribuiscono al suo autore: Pete Sunde. E’ ancora giovane, 37 anni, un volto quasi infantile, è finlandese ma – purtroppo per lui, come vedremo – ha tanti amici e parenti in Norvegia e Svezia. Parla sette lingue. E’ un uomo colto, intelligente. Riservato. E suo malgrado è diventato uno dei simboli delle battaglie per la libertà della rete.

Sulla sua storia ci hanno fatto documentari, libri, ci hanno riempito riviste.

Dodici anni fa, assieme a due amici – Fredrik Neij e Gottfrid Svartholm – fondò The Pirate Bay, di cui Pete Sunde – @brokep è il suo acronimo su Twitter e gli altri social –– era portavoce ufficiale. Pirate Bay è stato – fino a qualche settimana fa, quando l’ennesima offensiva dei possessori del copyright sembra aver avuto successo – il più grande, il più conosciuto, sito per lo scambio di file torrent. Pensato – dai promotori – esattamente con uno scopo: consentire lo scambio di cultura, saperi, musica, immagini. Senza le antistoriche imposizioni dei possessori dei diritti.

Non durò molto. Pochi anni dopo, nel 2008, una violentissima campagna delle major discografiche e cinematografiche portò al sequestro dei server e all’avvio di un processo per violazione di copyright. I server in quattro e quattr’otto furono riattivati in qualche altra parte del mondo e The Pirate Bay ha continuato a crescere.

Ma questa è un’altra storia, che non riguarda più Pete Sunde. Perché lui non si riconosce più nella nuova versione di The Pirate Bay. Che – lo scrive nel suo blog – ha smarrito l’anima: la battaglia per una cultura condivisa, senza vincoli, ha ceduto il posto al semplice e puro commercio. Al guadagno. Della vecchia filosofia non è rimasto nulla.

Pete però continua a progettare, a programmare. Torna in Finlandia. Coi suoi vecchi amici lancia BayFiles, elabora Flattr, un sistema di micropagamenti che si rivelerà utilissimo per far arrivare fondi a Wikileaks, quando Visa, Mastercard e American Express decideranno il «blocco» nei confronti dell’organizzazione di Assange.

L’anno scorso si candida senza fortuna alle europee per il partito pirata finlandese. Una settimana dopo il voto, va a trovare vecchi amici in una fattoria a due passi da Malmoe. Passa il confine, dunque. E lo arrestano.

Perché nel frattempo il processo svedese contro i fondatori di Pirate Bay è finito. Un anno di carcere e trenta milioni di corone svedesi di multa. A nulla erano valse le obiezioni degli avvocati che avevano chiesto l’annullamento di un processo costruito sulle accuse di un agente di polizia, passato poi alle dipendenze della Warner Bros., la major che aveva firmato la denuncia. Resta il commento di Pete al momento della sentenza: «Non ho 30 milioni, non li avrò mai. Ma anche se li avessi li brucerei, pur di non darli agli avvoltoi del copyright».

[do action=”quote” autore=”Pete Sunde”]«Non ho 30 milioni, non li avrò mai. Ma anche se li avessi li brucerei, pur di non darli agli avvoltoi del copyright»[/do]

Così è arrivato il carcere. Non si è fatto l’anno per intero, gli hanno condonato un po’ di mesi. Ed è potuto tornare in Finlandia. Il giorno dopo il rilascio era in piazza. A difesa dei migranti minacciati da una proposta di legge liberticida.

Questo è Pete Sunde. Sempre lo stesso. Un’icona, un punto di riferimento del movimento pirata europeo.

Che certo non vive il momento di maggior splendore ma può sempre contare su un’eurodeputata, su almeno sedici consiglieri nei Land tedeschi e molti consiglieri comunali sparsi un po’ dappertutto (a Reykjavík il partito pirata fa parte della maggioranza municipale, e in tutta l’Islanda un sondaggio li dà addirittura primo partito).

No, Pete Sunde non è uno qualsiasi. Le sue parole pesano, il suo «certificato di morte» pesa, eccome.

Perché è arrivato al capolinea il movimento pirata? I motivi sono diversi.

Perché ha scelto di intestardirsi sulla strada del «partito», con tutte le logiche burocratiche che si porta dietro. Ma questo è solo un aspetto, forse il minore.

Conta, molto di più, quello che @brokep chiama la mancanza di una «visione più ampia». The bigger picture. Certo, gli obiettivi che erano alla base della nascita (in Svezia e in Italia) dei primi movimenti pirata sono ancora tutti validi: la libertà della rete, la lotta al controllo, il diritto all’istruzione, alla cultura. Solo che il dibattito su come aggredire questi temi è andato avanti. Mentre i partiti pirata sono «rimasti fermi a dieci anni fa». E sulle «reti dieci anni sono una quantità folle di tempo».

Non basta insomma il giovanilismo dei loghi, non bastano gli slogan azzeccati. Che dice il movimento pirata sui migranti? «Dice poco perché ogni partito ha una sua posizione». E alcuni di questi partiti europei ha programmi non proprio radicali.

Che dice il movimento pirata sulla «guerra alla droga» dichiarata dagli Stati? Poco o nulla. Tace. La scelta per la liberalizzazione non è netta, è contrastata.

Si potrebbe continuare a lungo. Arrivando alle domande che Sunde non se la sente di formulare. Che dice, infatti, il movimento pirata sulla lotta al copyright? Si specchia nel documento di Julia Reda, eurodeputata pirata incaricata dalla commissione di redigere un testo di mediazione sull’argomento? Documento talmente blando – pieno di deroghe nazionali a principi astratti – che potrebbe essere benissimo accettato anche dal partito democratico.

Manca la «grande visione», bigger view, dice in un altro passaggio del suo articolo. Manca il coraggio – sì il coraggio – di andare fino in fondo nelle analisi. E capire che discutere, affrontare la net neutrality, il sistema dei brevetti, discutere di Tlc significa fare i conti col liberismo. Col «net-liberismo». Non con un’indistinta – e un po’ banale – semplice arretratezza del sistema imprenditoriale. Significa che la partecipazione attiva – attraverso gli strumenti che proprio i pirati si sono inventati, uno per tutti Liquid FeedBack – non si afferma se non si ha la voglia di fare i conti con la a-democrazia dell’Europa, dominata dalla troika.

E allora: «incendi» non partiti. E allora movimenti, ribellioni, non partiti coi simboli guerreschi. Accendere, riaccendere, perché «la piromania è creatività». Un fuoco stranissimo quello che descrive Sunde nel suo scritto: e che addirittura prevede la possibilità di entrare nei partiti esistenti, nelle formazioni di sinistra. Per «hackerarle», sconvolgerle. Trasformarle.

Nella sua biografia in pillole che appare su Twitter, @brokep si definisce anche socialista. Non aggiunge altri aggettivi. Certo, anche qui, non siamo davanti al solito socialista. Nel suo testo, Sunde dice di voler continuare tutte le battaglie che ha condotto fino ad ora. Inventando per sé un ruolo da «ninja sotto copertura».

E aggiunge un’ultimissima cosa. Vuole anche tornare a divertirsi mentre lotta. Ne sente un bisogno impellente.

Neanche fosse stato ad un’assemblea della lista italiana per l’Altra Europa.