L’autorità nazionale palestinese (Anp) alza la voce contro la detenzione di Bilal Kayed, un militante del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) da 70 giorni in sciopero della fame nelle carceri israeliane per protesta contro la propria detenzione “amministrativa”, senza accusa e processo, scattata nel giorno in cui doveva tornare a casa dopo aver scontato 14 anni di prigione. «Israele sta violando ogni etica medica trattando un essere umano come un animale – ha protestato il premier dell’Anp Rami Hamdallah – Le autorità israeliane sono responsabili della salute di Bilal Kayed e lo devono liberare subito». Mentre Hamdallah condannava Israele, da Nablus giungeva la notizia che il presunto capo della “gang di criminali” che la scorsa settimana ha ucciso due poliziotti palestinesi, era morto in carcere dopo essere stato pestato per ore dalle forze di sicurezza dell’Anp.

È stato lo stesso governatore di Nablus, Akram Rajub, a confermare che Ahmed Halawa è stato ucciso da chi lo stava interrogando nel carcere di Jneid. Secondo le indagini, l’uomo era a capo di una banda di una dozzina di uomini, due dei quali uccisi la scorsa settimana negli scontri a fuoco scattati dopo l’agguato in cui erano caduti due agenti di polizia. Le cose sono più complesse. Halawa era anche uno dei leader locali delle “Brigate dei Martiri di al Aqsa”, il braccio armato durante la seconda Intifada del partito Fatah, guidato dal presidente Abu Mazen, costretto a sciogliersi qualche anno fa per ordine dell’Anp. Le “Brigate” però sono riapparse nella città vecchia di Nablus e nei campi profughi di Balata e Jenin in sfida aperta ai vertici politici palestinesi.

Una volta in prigione Halawa è stato picchiato duramente. Le immagini che giravano ieri in rete mostravano il corpo seviziato e torturato dell’uomo, in particolare il volto. Halawa ad un certo punto ha perso conoscenza ed è morto. «Esamineremo l’incidente e trarremo gli insegnamenti da esso» ha assicurato Rajub. Parole che non sono bastate a placare la tensione subito aumentata in città. Molti abitanti di Nablus contestano il modo in cui sono condotte le operazioni di polizia dell’Anp che, dicono, sono uguali a quelle dell’esercito di occupazione israeliano. Per l’Anp invece è in corso soltanto una operazione contro la criminalità organizzata e per il recupero delle armi illegali. A Nablus spiegano che il contrabbando è di fatto imposto alla parte più emarginata e povera della popolazione dimenticata dall’Anp e che fa i conti con una disoccupazione tra i giovani che tocca punte da record. «I palestinesi di Nablus non appoggiano i criminali ma, allo stesso tempo, non accettano i metodi violenti della polizia palestinese. Tanti pensano che l’Anp lavori come una forza di sicurezza di Israele e non per garantire protezione ai palestinesi» spiega al manifesto Diana Buttu, analista del think tank “Shabaka”, ricordando numerosi episodi che hanno visto in questi mesi agenti e ufficiali della polizia e dei servizi di sicurezza dell’Anp abusare del loro potere contro semplici cittadini, talvolta solo ragazzi,a Ramallah, Gerico, Jenin e in altre località della Cisgiordania.

Il pestaggio a morte di Halawa rischia di compromettere a Nablus le possibilità di successo di Fatah, spina dorsale dell’Anp, impegnato in una difficile campagna per le amministrative di ottobre in competizione diretta con il movimento islamico Hamas. «Se Fatah perderà le elezioni non potrà che recitare il mea culpa» dice Diana Buttu «perchè non ha ancora imparato la lezione dalle precedenti sconfitte (2005 e 2006, ndr). Non ha compreso che non può lasciar governare l’Anp con il pugno di ferro e con impunità totale per le sue forze di sicurezza in un territorio dove la popolazione deve fare i conti ogni giorno, da 50 anni, con l’occupazione militare israeliana e la mancanza di libertà». Hamas, che pure è responsabile nella Striscia di Gaza di abusi e intimidazioni, ha affermato che la morte di Halawa è la punta dell’iceberg di un sistema di sicurezza instaurato dall’Anp che avrebbe come primo obiettivo quello di reprimere gli oppositori, a cominciare da quelli islamisti. Condanne sono giunte anche dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina, da altre forze politiche, dalla società civile palestinese e dal rappresentante locale del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.

L’accaduto non sembra aver scosso particolarmente i vertici dell’Anp mentre Adnan Dmeiri, portavoce delle forze di sicurezza, da due giorni ribadisce che le operazioni nella casbah di Nablus andranno avanti fino a quando «il fenomeno del possesso di armi illegali non avrà termine».