Due anni dopo il Movimento 5 Stelle ritorna a sfilare. Oggi, da Perugia a Assisi, sul percorso tradizionale del movimento della pace ribadirà le ragioni di quello che chiama, impropriamente, «reddito di cittadinanza». La proposta che Grillo e Casaleggio Jr sbandiereranno non è l’erogazione incondizionata di un reddito di base, ma la concessione di 780 euro mensili a chi ha un reddito inferiore a quello mediano in cambio della disponibilità ad accettare un lavoro da parte del sistema delle politiche attive dell’Anpal, un’istituto creato – non senza difficoltà e contraddizioni – dal Jobs Act di Renzi. Su questo ente M5S sostiene di volere riversare due miliardi di euro. Presumibilmente, se il soggetto non accetterà l’offerta, perderà il sussidio. Questo «reddito di cittadinanza» è in realtà una misura «condizionata» a un sistema di «workfare» stringente.

Il costo della misura è stato, di recente, rivisto al rialzo. Si è passati dai 14 ai 20 miliardi di euro. I Cinque Stelle intendono finanziarlo con il taglio ai costi della «casta»: vitalizi, auto blu (100 milioni), indennità parlamentari, fondi ai partiti (20 milioni) e l’azzeramento di quelli per l’editoria (23 milioni). Una parte cospicua della cifra (2,5 miliardi) dovrebbe essere ricavata dalla mitica «spending review» e dalla «centralizzazione degli acquisti» della P.A. e poi dall’aumento delle tasse di banche e assicurazioni (2 miliardi) e dall’abolizione del Cnel. Previste le tasse sul gioco d’azzardo.

In questo schema, il fondo per la lotta alla povertà (1,5 miliardi) dovrebbe confluire nella dotazione per il reddito.