Quando meno te lo aspetti, Beppe Grillo passa all’assalto e bombarda il rapporto già provato tra la sua creatura politica e la Lega. In un’intervista a Sette, il magazine del Corriere della sera, attacca Matteo Salvini senza tanta diplomazia: «Parla come il personaggio di uno spaghetti-western. Lo manderei a calci a fare il suo lavoro al Viminale…», dice il co-fondatore e garante del Movimento 5 Stelle.

L’uscita rinfranca le truppe dei simpatizzanti grillini, ne rafforza lo spirito identitario fiaccato da questi primi dodici mesi di governo gialloverde ma potrebbe guastare i progetti per le ultime settimana di campagna elettorale. Le parole di Grillo, in effetti, non rispondono ad alcun disegno tattico, stando a quanto trapela dai vertici del M5S non risultano concordata con la centrale comunicativa che ormai da giorni (e con qualche segnale successo, stando ai sondaggi degli ultimi giorni) disegna un percorso che si muove su un crinale molto sottile, alterna colpi di fioretto a segnali di concordia. Infatti Luigi Di Maio da facebook si affretta ad aggiustare: «All’amico Salvini dico che non c’è alcun attacco nei tuoi confronti. Non c’è da prendere sul personale l’ironia di Beppe Grillo, ma diamo un segnale ai cittadini e mandiamo fuori chi è corrotto».

Di Maio ha cambiato registro. Da quando ha deciso di contendere al leader leghista la costruzione dell’agenda mediatica ha trovato il modo di uscire dall’angolo per sposare meglio lo spirito della campagna elettorale. E però non vuole mandare tutto all’aria. Soprattutto dopo averla spuntata con le dimissioni del sottosegretario Armando Siri, Di Maio non vuole rompere davvero. Sa che se dovesse cadere il governo lui sarebbe il primo, e forse persino l’unico, a farne le spese dentro il M5S. Per questo punta a ridefinire i rapporti di forza dentro alla maggioranza dopo le elezioni europee, ma al tempo stesso sta riposizionando i 5 Stelle in chiave «moderata».

È una manovra che serve anche a prefigurare la disinvoltura tattica delle alleanze europee. Il M5S ormai ripete da mesi che il suo obiettivo è diventare «l’ago della bilancia» del parlamento europeo. Per farlo intende lasciarsi le mani libere, non vincolarsi a nessuna posizione, come dimostrano le aperture di Di Maio al rispetto dei parametri di Maastricht, impensabili fino a pochissimo tempo fa, o le bordate contro i sovranisti vicini alla Lega. «Salvini è un estremista parolaio – è il messaggio principale che ispira ogni esternazione – Per fortuna ci siamo noi, pragmatici e votati al buon senso, a stringerlo sugli impegni concreti». Solo che questo doppio livello politico, polemizzare ma in nome della moderazione e del realismo, non è esente da rischi e ha già comportato a dover accettare la rinuncia dell’apporto di Alessandro Di Battista in campagna elettorale.

Le cose si muovono velocemente, e del vecchio M5S sembra resistere soltanto l’anima giustizialista, per questo Di Maio calca la mano sulle indagini e sottolinea la differenza tra i 5Stelle e tutte le altre forze politiche, Lega compresa: «In questi giorni ci sono state decine di indagini per corruzione – afferma Di Maio – Quello che sta accadendo non accadeva da anni, è una nuova tangentopoli che vede tutte le forze politiche coinvolte».

Salvini intuisce che i toni si stanno alzando più di quanto avesse immaginato e manda un segnale preciso all’amico-nemico Di Maio: rispondendo alle parole di Grillo mette il capo politico e il garante del M5S, che pure rivendica ancora oggi la sua natura di battitore libero, in un unico calderone rovesciando la polemica nei rapporti interni alla maggioranza. «Gli insulti di Di Maio e Grillo non sono utili – dice il ministro dell’interno sotto attacco su più fronti – Capisco che mi attacchino dall’opposizione, ma quello che mi stupisce, non dico che mi spaventa perché non ho paura di niente e di nessuno, sono le parole degli alleati».