La Spagna ha la sua prima presidente donna del Congresso dei deputati. Si tratta dell’attuale ministra dei lavori pubblici, Ana Pastor, medico e ottima amica personale di Mariano Rajoy. La scelta è ricaduta su un personaggio meno problematico di molti altri esponenti del Pp, di sicura fiducia del capo. Ma per il principale alleato di Rajoy, Albert Rivera, di Ciudadanos, per questa manovra che ha riportato nelle mani del partito di maggioranza relativa la terza carica dello stato, è stata la scusa perfetta. Ci avevano offerto candidati peggiori e li abbiamo rifiutati, è la versione degli arancioni.

Tutti i riflettori politici erano accesi sull’inaugurazione delle nuove camere di ieri. Perché questo voto è il primo segnale che dà un’idea del clima politico che si respira. E il risultato è che Mariano Rajoy da ieri è molto più vicino a confermarsi premier del paese. Ciudadanos, che ha ormai fatto tripli salti mortali per giustificare i numerosi cambiamenti nelle sue posizioni, è ormai totalmente asservito al Partito popolare. Diceva che era convinto che la presidenza della camera dovesse andare all’opposizione. O anche che a un governo presieduto da Rajoy avrebbe detto di no. Entrambe queste posizioni, ripetute migliaia di volte, sono passate nel dimenticatoio, a cambio di una preziosa poltrona nell’ufficio di Presidenza del Congresso. Dei nove membri che ne fanno parte, la destra ha ottenuto presidenza, due vicepresidenze (sarebbero toccate entrambe al Pp, ma una l’hanno regalata a C), e due segretari (uno ciascuno al Pp e a C), mentre Psoe, Podemos e alleati si sono ripartiti gli altri quattro posti. Con un governo verosimilmente molto debole, il controllo di quest’organo che prende le decisioni più importanti nella vita parlamentare, sarà chiave per la governabilità. E benché Ciudadanos abbia già detto che non entrerà nel governo, è chiaro che l’alleanza di ferro è ormai forgiata.

Ma ci sono due aspetti più inquietanti di questa elezione, che fino a ieri non era affatto scontata. La prima, il ruolo dei socialisti. Stavolta Podemos, al contrario di sei mesi fa, non si era fatto trovare impreparato e da giorni manovrava sia con il Psoe che con i nazionalisti catalani e baschi per cercare di strappare a Pp e Ciudadanos (a cui assieme mancano 7 voti per la maggioranza assoluta) la presidenza. Podemos metteva sul tavolo il nome di Xavier Doménech, che guidava la coalizione vincente in Catalogna, En comú podem, anche come garanzia ai nazionalisti sull’unico tema a cui dicono di essere interessati, e cioè l’autodeterminazione: Xavier Doménech è da sempre favorevole al referendum. Ma il niet socialista è stato invalicabile, persino quando Podemos – come ha poi fatto – ha garantito nel turno di ballottaggio fra i due più votati l’appoggio al candidato socialista, il presidente uscente Patxi López. Ma chiedeva che se Doménech avesse ottenuto, oltre ai loro, i voti dei nazionalisti e fosse passato al ballottaggio invece di López, i socialisti l’appoggiassero. Niente da fare.

È ormai chiarissimo che i socialisti non ci vogliono neppure parlare con Podemos. Figurarsi formare un governo alternativo. Dicono che è perché non vogliono avere nulla a che fare coi nazionalisti, ma al loro interno sono molto divisi. Le voci che chiedono l’astensione all’investitura di Rajoy sono sempre più forti, e il rafforzamento dell’asse Pp-Ciudadanos non fa che tirare acqua al mulino del nucleo più conservatore del Psoe.

Ma ancora più sorprendente è stata la decisione di tutti i nazionalisti, i due partiti catalani e i baschi, che si sono astenuti al ballottaggio, consentendo l’elezione di Pastor invece che quella di López. Sembra che gli uni otterranno il gruppo parlamentare (che, a rigore, non gli spetta), gli altri un posto nell’ufficio di presidenza del Senato. Ma in sostanza tutti hanno baciato il rospo Pp senza colpo ferire. Chissà come lo venderanno a casa per esempio i catalani (i due partiti sono al governo in Catalogna), che sullo scontro con Madrid e col Pp hanno costruito le loro fortune politiche. I più ottimisti vedono addirittura un possibile schiarimento dei rapporti fra Madrid e Barcellona.

Rajoy intanto segue la sua strategia. Dopo il voto ha chiesto di governare, ma senza promettere nulla. Se nella sessione di investitura, che il Pp vorrebbe a inizio agosto, si ripetesse il voto di ieri, sarebbe presidente.