I lavoratori della Pernigotti, azienda dolciaria di Novi Ligure sono in assemblea permanente. «Siamo qui e continueremo a restarci per difendere il nostro posto e il futuro delle nostre famiglie ma abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti», dicono. La famiglia turca Toksöz, che ha acquisito il marchio nel 2013, martedì ha annunciato ai sindacati che cesserà la produzione e ha chiesto un anno di cassa integrazione straordinaria, dal 3 dicembre prossimo, per cento dipendenti.

UNA NUOVA TEGOLA per l’industria piemontese che, dopo i casi Hag e Comital, colpisce un pezzo ultrasecolare del made in Italy. Si tratta, infatti, di una delle fabbriche più antiche d’Italia; la storia iniziò quando Stefano Pernigot- ti aprì nel 1860, nella piazza del mercato, una drogheria specializzata in «droghe e coloniali», otto anni dopo fondò la società che tuttora ha sede a Novi, formando insieme ad altre realtà uno dei poli dolciari più importanti d’Italia.

Nello stabilimento vengono prodotti cioccolata, torroni, praline, preparati per la gelateria, uova di Pasqua. Ci lavorano 100 dipendenti diretti e circa 80 interinali. Ma negli ultimi anni le perdite economiche sono diventate ingenti. «I fratelli Toksöz, che acquistarono l’azienda dalla famiglia Averna e che hanno attività anche nei settori energetico e farmaceutico, promisero al loro arrivo un rilancio del marchio, ma – sottolinea Marco Malpassi, segretario della Flai-Cgil di Alessandria – si rivelò presto un bluff: in cinque anni le perdite ammontano a 50 milioni di euro e testimoniano un’incapacità gestionale e strategica evidente, come il cambio di ben quattro amministratori delegati, uno dopo l’altro. Non sono stati fatti, inoltre, gli investimenti necessari. Una situazione paradossale, perché il distretto dolciario è in salute. Vogliono tenersi il marchio e continuare a commercializzare alcuni prodotti che facevano in Turchia, come la crema spalmabile, e terziarizzare la produzione del cioccolato in Italia».

IERI, L’AZIENDA HA ESPLICITATO le sue intenzioni. Ha detto di voler «esternalizzare le proprie attività produttive unicamente presso il territorio nazionale» e di star procedendo «all’individuazione di partner industriali in Italia, a cui affidare la produzione, coerentemente anche con l’obiettivo di cercare di ricollocare il maggior numero possibile di dipendenti coinvolti presso aziende operanti nel medesimo settore o terzisti». E, infine, di aver iniziato a dialogare con «alcune importanti realtà italiane del settore dolciario».

La situazione rimane nebulosa. Gli operai non si fidano. I sindacati hanno scritto al ministero dello Sviluppo economico per chiedere un tavolo di crisi, ottenendo risposta positiva: è convocato al Mise per il 15 novembre e sarà presieduto dal vicecapo di Gabinetto Giorgio Sorial.

PER IL SINDACO DELLA CITTÀ, Rocchino Muliere (Pd) «non si può strappare un pezzo di cuore alla città in questo modo». Uno dei suoi timori è che la «terziarizzazione della produzione, finora avvenuta a Novi, si trasformi in uno spezzatino, una strategia aziendale fallimentare e inaccettabile».

Tra i lavoratori la preoccupazione è alta. «L’unica nostra salvezza – dichiara Roberto Demari, rsu Flai-Cgil, da dieci anni dipendente della Pernigotti – sarebbe che l’attuale proprietà vendesse il marchio e lo acquistasse un imprenditore credibile, ma il marchio se lo vogliono temere. L’annuncio di chiusura è stata una doccia fredda, ci aspettavamo un ridimensionamento, non che tirassero giù la serranda».

IL SEGRETARIO FLAI CGIL Malpassi rimarca: «Non accettiamo l’impostazione dell’azienda, il nostro obiettivo è di ottenere la cassa straordinaria per situazione industriale complessa, non per cessazione attività. Non ci aspettiamo ovviamente che i Toksöz vogliano rilanciare la struttura, speriamo cedano il marchio a investitori più seri».

Lunedì sera ci terrà a Novi Ligure un consiglio comunale aperto sulla crisi Pernigotti. Anche in Regione Piemonte verrà aperto un tavolo istituzionale coordinato dall’assessora Gianna Pentenero, che considera la decisione di chiudere la fabbrica da parte del gruppo Toksöz «incomprensibile e inaccettabile». Intanto, l’«occupazione operaia» dello stabilimento continua.