Nemmeno l’ombra, di quel popolo arrabbiato e triste che ha animato la rivolta di Tor Sapienza nei giorni scorsi. E nemmeno la folla proletaria e sfrontata di Tor Pignattara che sfila a difesa del killer di Muhammad Shahzad Khan, il 28enne pakistano ucciso a botte per strada lo scorso 18 settembre. Se ci aspettava di vedere il volto vero, la pancia ribollente delle periferie romane sfilare nel centro della città, dall’Esquilino fino a piazza Venezia, allora la Marcia «contro il degrado, i clandestini e la criminalità» indetto da un cartello di organizzazioni di quartiere, è stata un flop. Delle 62 associazioni che avrebbero dovuto portare in piazza, secondo le aspettative, almeno 10 mila cittadini a manifestare tutto il loro sdegno contro l’attuale sindaco di Roma, appena qualche rappresentante. Il minimo sindacale necessario per promettere lo «sciopero fiscale».

Se invece l’estrema destra avesse voluto con questo corteo testare lo share romano, allora può non rimanere delusa: duemila persone, non di più. Si conferma infatti il bacino di utenza, se così si può dire, di quella parte politica che sicuramente se la rideva la notte degli assalti al centro di accoglienza rifugiati («Siete stati straordinari, avete difeso la nostra città. Noi siamo con voi», gridano dal camioncino di testa allo striscione targato Tor Sapienza). Ma, sebbene ormai l’ideologia che si consolida nelle periferie del degrado abbia superato in estremismo – inconsapevolmente, forse – perfino le posizioni di Casapound (i cui militanti erano in piazza ieri «a titolo personale»), il tentativo di stringere a coorte i cittadini di serie B, come avevano già provato a fare i “forconi”, si può dichiarare altrettanto fallito. Per il momento almeno, al Pd piacendo.

A descrivere il carattere della manifestazione di ieri mattina, più dei saluti romani, dei cori da ultrà contro il «pinocchio» Ignazio Marino, del turbinio di bandiere tricolore e degli striscioni a caratteri “desdemona”, tipici dell’estremismo neofascista, ci sono i volti della meglio gioventù che ha accompagnato gli anni di formazione dell’ex sindaco Gianni Alemanno, vera star del corteo. C’è Adriano Tilgher, fondatore del Fronte nazionale, e c’è perfino il “nostro” Andrea Insabato (colui che depositò la bomba nella redazione del manifesto il 22 dicembre 2000) che, stampella in mano, sorregge lo striscione «Fronte romano riscatto popolare».

«Caccia i rom», «Via gli zingari e gli abusivi», «Marino clandestino», sono gli slogan più gettonati. Per Franco Pirina, presidente del Coordinamento Azioni operative Ponte di Nona, promotore dell’iniziativa, «non era mai successo che i comitati uniti scendessero in piazza per protestare e denunciare il degrado dei territori, tra mezzi pubblici carenti e microcriminalità, a cui si aggiungono i problemi dell’immigrazione continua. E Marino non sta facendo niente, non è all’altezza di gestire Roma e il suo disagio. Se mi convoca? Non ci vado, tanto ai vertici sulla sicurezza e l’accoglienza invita solo i rappresentanti dei nomadi, non dei cittadini».

Mentre Alemanno spiega che «ha voluto portare solidarietà e vicinanza a chi ogni giorno subisce aggressioni e atti criminali per colpa dei rom o dei clandestini che da un anno e mezzo a questa parte, anche grazie alla scellerata operazione Mare Nostrum, hanno invaso la nostra città». L’attacco a Marino «chiuso nelle sue stanze ovattate» è d’obbligo, ma ha ragione l’ex sindaco a dire che «personalmente durante il mio mandato non ho mai subito una simile manifestazione di protesta». E ci mancherebbe.

«Non ci fermiamo qui – dicono dal palco – il prossimo appuntamento è per il 21 novembre al Palazzo della Civiltà del lavoro per un corteo che attraverserà l’Eur contro la prostituzione e l’illegalità. O interviene il governo o blocchiamo le città. Siamo pronti alla lotta fiscale, non paghiamo più una tassa».

Intanto in viale Morandi, a Tor Sapienza, dove sorge il centro di accoglienza diventato simbolo della rivolta anti-immigrati, si vivono ore di relativa «calma». «Abbiamo avuto un confronto sereno con i proprietari del bar che hanno negato di aver mai impedito l’accesso a nessuno», racconta Gabriella Errico, responsabile della onlus «Un sorriso». Il suo giudizio è che «Tor Sapienza si ritrova in mezzo a una guerra che non è nostra, né del centro né del quartiere». I suoni di questa guerra arrivano anche da lontano: «Marino deve dimettersi il prima possibile», sostiene il vicepresidente della Camera e deputato M5S Luigi Di Maio. Una guerra dai mille volti. Non quelli della gente delle periferie, però.