Ogni anno, tra mimose e cioccolatini, in tanti dimenticano che la giornata dell’8 marzo affonda le proprie radici nella lotta per la dignità e l’uguaglianza che, nel secolo scorso, tante donne e lavoratrici hanno condotto anche a costo della vita. In oltre cento anni sono cambiate molte cose, ma non abbastanza da rendere giustizia al loro sacrificio.

Il tasso di occupazione femminile cresce, ma la piena equiparazione degli stipendi e dei ruoli resta una meta lontana. Soprattutto in Italia, dove storie di maltrattamenti e violenza sulle donne, dentro e fuori la famiglia, sono purtroppo all’ordine del giorno.

C’è però un capitolo che quasi mai si affronta con la dovuta attenzione: quello delle violenze inflitte alle donne dalla legge. Ad esempio alle donne che, costrette a interrompere una gravidanza, devono scontrarsi con la quotidiana violazione della legge 194. Com’è noto, il numero di medici obiettori è in costante crescita, al punto che nel 35% delle strutture italiane autorizzate non si eseguono più aborti. Le Regioni, chiamate a vigilare sull’applicazione della legge, tacciono. Mentre il governo addirittura punisce le vittime di questa violazione, cioè le donne, con un vertiginoso innalzamento della multa per aborto clandestino: una misura che riporta il Paese a un clima pre 194. Questa imperdonabile leggerezza da parte dell’esecutivo porta in superficie anche una contraddizione marchiana.

Se da una parte il ministro Lorenzin finge di ignorare come l’obiezione di coscienza abbia causato il ritorno della piaga dell’aborto clandestino – tanto da non farne menzione nella sua relazione al Parlamento sull’applicazione della legge 194 – dall’altra intende punire con multe salatissime le donne che sono costrette a farvi ricorso, poiché non riescono a ottenere l’interruzione di gravidanza per vie legali proprio a causa dell’aumento di medici obiettori. Il risultato è che invece di occuparsi della salute delle donne, vigilando sul rispetto della legge e sanzionando chi non garantisce l’accesso all’interruzione di gravidanza, lo Stato si accanisce sulle vittime punendole due volte: prima con la privazione dei diritti, poi con migliaia di euro di multa.

Per non parlare, poi, della quotidiana lapidazione pubblica nel nome della difesa della vita a cui sono sottoposte coloro che, attraverso la procreazione assistita, non vorrebbero che generarla, questa vita. Sono tantissime le donne che dal 2004 a oggi hanno dovuto combattere nei tribunali per smantellare i divieti liberticidi della 40, che nessun Governo ha mai voluto riformare. Per fortuna a tutelare i cittadini c’è la Carta Costituzionale, che dovrebbe essere alla base di tutte le leggi. E ci sono i giudici della Consulta, posti a guardia dei fondamenti costituzionali, che per tre volte hanno bocciato i divieti liberticidi della legge 40 e il prossimo 22 marzo si pronunceranno di nuovo sul divieto di utilizzo per la ricerca degli embrioni italiani non idonei alla gravidanza. Embrioni condannati alla distruzione, mentre i nostri ricercatori devono importarli dall’estero per continuare a cercare la cura per il parkinson, il diabete e altre gravi patologie.

Un altro schiaffo alle donne arriva dal dibattito di questi giorni sulla criminalizzazione della gestazione per altri, etichettata con la definizione dispregiativa di “utero in affitto”. E’ infatti chiaro che uno stato pronto a proibire la libertà di una donna di contribuire alla nascita di un bambino per altri, sarà anche pronto a proibire la scelta della interruzione volontaria di gravidanza. Ecco perché come Associazione Luca Coscioni abbiamo presentato una proposta di legge per regolamentare anche in Italia la gravidanza per altri. Crediamo infatti che soltanto con una buona legge sia possibile combattere lo sfruttamento e, al contempo, garantire a tutti pari diritti.

Per le donne italiane c’è dunque ben poco da festeggiare. Questo 8 marzo dovrebbe invece servire ad accendere i riflettori sul rischio di un’involuzione culturale. Una tendenza che va contrastata sgombrando il terreno del diritto dagli argomenti da stato etico con cui, anche in Parlamento, si vorrebbero condizionare le scelte e le libertà individuali. In questa nuova battaglia per difendere diritti che si ritenevano ormai acquisiti e per rivendicare la propria libertà di scelta e di autodeterminazione, è però necessario che i cittadini tornino a fare squadra. All’Italia serve una nuova grande stagione di mobilitazione sui diritti e le libertà civili, delle donne e non solo.

La strada è ancora lunga e l’obiettivo non è dietro l’angolo. Noi Radicali siamo come sempre in prima fila dalla parte di cittadini, per riportare al centro di una politica sorda e troppo lontana la vita reale delle persone.