Così non va. L’Italia fa un altro passo indietro nella classifica dei Paesi in lotta contro la crisi climatica: ieri è stato presentato il «Climate Change Performance Index 2022», il rapporto annuale di Germanwatch, Can e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta – realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia – e il nostro Paese ha fatto uno scivolone all’indietro di tre posizioni, finendo quest’anno al 30°posto in graduatoria. Questo «risultato» è stato raggiunto per il rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili (34° posto della classifica specifica) e per una politica climatica nazionale ancora inadeguata a fronteggiare l’emergenza climatica. Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) consente infatti entro il 2030 un taglio delle emissioni di appena il 37% rispetto al 1990.

L’ITALIA È IN CATTIVA compagnia: nel rapporto, che prende in considerazione la performance climatica di 60 Paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, quelli che insieme rappresentano il 92% delle emissioni globali, la Cina, che è il maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola di quattro posizioni al 37° posto. Nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili, le sue emissioni continuano a crescere per il forte ricorso al carbone e la scarsa efficienza energetica del suo sistema produttivo. Ancora più indietro si piazzano gli Stati Uniti, secondo emettitore globale, che troviamo al 55° posto (anche se qui c’è stato un passo in avanti di sei pozioni rispetto allo scorso anno, grazie alla nuova politica climatica ed energetica avviata dall’Amministrazione Biden). Tra gli altri Paesi del G20, solo Regno Unito, India, Germania e Francia si posizionano nella parte alta della classifica.

ANCHE L’UE scivola di sei posizioni al 22° posto, soprattutto per Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, in fondo alla classifica. L’indice che misura la performance ha come parametri di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il Ccpi si basa per il 40% sul trend delle emissioni e per il 60% in parti uguali su sviluppo delle rinnovabili, efficienza energetica e politica climatica. Anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite: nessuno sta fronteggiando l’emergenza climatica per contenere il surriscaldamento del Pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. In testa troviamo i Paesi scandinavi, che guidano la corsa verso zero emissioni: Danimarca, Svezia e Norvegia si posizionano dal quarto al sesto posto. In fondo alla classifica ci sono Arabia Saudita, Canada, Australia e Russia.

«IL PEGGIORAMENTO in classifica dell’Italia – dichiara Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente – ci conferma l’urgenza di una drastica inversione di rotta. Si deve aggiornare al più presto il Pniec per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, di almeno il 65% entro il 2030».

COME A SOTTOLINEARE l’esigenza di questo «aggiornamento», ieri la Camera dei Deputati ha ospitato la conferenza stampa di presentazione della petizione «Il nucleare non sia incluso nelle rinnovabili!», promossa da Osservatorio per la Transizione Ecologica-Pnrr (Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, LaudatoSì e NOstra!) e da FacciamoECO, componente politica del gruppo misto rappresentato dall’onorevole Rossella Muroni. Pubblicata sulla pattaforma Change.org, è indirizzata al ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Il messaggio è semplice: «Il nucleare e il gas non sono fonti energetiche rinnovabili e come tali vanno mantenute fuori dalla tassonomia verde europea», il riconoscimento green che garantirebbe importanti finanziamenti sia pubblici che privati al settore.