Nel 2012 la scadenza dei diritti sulle opere di alcuni scrittori scomparsi agli inizi degli anni Quaranta, come Francis Scott Fitzgerald e Virginia Woolf, ha dato provvidenzialmente avvio a una serie di ritraduzioni di grandi classici moderni presso le case editrici italiane. Di tutte, senza dubbio la più attesa era la versione dell’opera capitale di James Joyce a firma di Gianni Celati.

Domenica 19 maggio alle 13.30, nella Sala Azzurra del Salone Internazionale del libro di Torino, Celati parlerà della sua traduzione dell’Ulisse pubblicata da poco per Einaudi, nel corso di un incontro al quale parteciperanno anche Mauro Bersani e Chiara Caselli, che leggerà il celebre monologo di Molly Bloom posto in chiusura del romanzo. Inseguendo quella cantabilità della lingua e del pensiero che innerva tutta la vivacità irrefrenabile di quel 16 giugno 1904 descritto nel capolavoro joyciano, Celati restituisce tramite il proprio sguardo la lezione e le suggestioni profonde di un libro che lo ha accompagnato per tutta la vita, fin da quando scrisse la sua tesi di laurea con Carlo Izzo. Per lui il flusso di eventi, impressioni, sorprese e pensieri in cui Ulisse trascina il lettore presenta la vita come un «niente di speciale», in cui l’atteggiamento più umano è fronteggiare con contentezza il disordine delle parole.

Questa epica dell’uomo medio «moderno, sensuale, e spesso anche un po’ buffo» piega quella speciale forma di percezione che è la musica verso un orizzonte liberatorio, usando un’espansione verbale mai vista prima per affrancare il lettore proprio dalla paura delle parole. Così le peregrinazioni dublinesi di Leopold Bloom e Stephen Dedalus proiettano nel fuori, nel mondo della logica e della vita ordinaria, la libertà divagante e non condizionata dell’ininterrotto dialogo mentale con se stessi.