Rieccoci qui. Tutti presenti, o quasi. Bello come al solito. Sessantamila. Ma senza la forza di un perché, a Milano bisogna esserci e questo basta e avanza. Ogni anno diventa sempre più una questione personale: esco, ci vado. E però siamo come esseri anfibi un po’ sperduti, immersi contemporaneamente nel passato e nel presente, e per questo oggi – per chi ricorda – la memoria non può che andare a sbattere contro un altro 25 aprile. Venti anni fa: il 1994. A Milano pioveva troppo, era bellissimo. Si stava già peggio, lui era agli esordi del suo ventennio ormai passato alla storia, eppure oggi ciò che annichilisce è il paragone con la potenza espressa da quel corteo che il manifesto aveva saputo percepire prima che prendesse forma. Siamo gli stessi, più o meno, ma domandarsi come ci siamo ridotti in questo modo significa solo rovinarsi la giornata. Il ricordo sfuma in un incrocio di sguardi, lasciamo stare e ci siamo detti tutto, perché anche questa rimane pur sempre una giornata diversa e felice, e chiunque ha il diritto di raccontarsela come meglio crede.

Da dire restano le parole d’ordine forzate che annoiano dal palco, l’attualità, la “difesa della Costituzione”, con migliaia di persone che durante i discorsi non sanno nemmeno dove guardare (nei cellulari), parole vuote con il primo partito italiano che ne sta facendo carta straccia, e con Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell’Anpi, che arriva a sottolineare esplicitamente la mancanza di democrazia delle riforme di Matteo Renzi, per non parlare del suo degno compare (lui c’è ancora). Sarà la stanchezza, o forse è solo la quiete prima di chissà quale tempesta, ma non c’è più nemmeno la forza per una piccola contestazione: sul palco del Duomo c’è Luigi Angeletti. Angeletti! Non un fischio, solo sbadigli. Quando si dice la distanza dalle istituzioni, non c’è rappresentazione migliore di questa.

Poi, senza infierire, questo 25 aprile milanese ci regala un’altra non notizia, non proprio fresca. Ma ufficiale: la piazza più importante della sinistra italiana ormai non è più contro il Pd, è addirittura oltre. Lo ignora, lo evita lungo il corteo, e un pochino lo fischia con la delicatezza di chi non vuole sparare sulla croce rossa. Lo spezzone del Pd -70 persone – sembra composto da alieni. Si sapeva già, ma ieri, in punta di piedi, sono davvero usciti dalla sinistra. La cronaca dice anche di contestazioni. Sì, una crisi di nervi di un anziano corpulento del Pd che si è scagliato contro un gruppo di No Tav che stava fischiando a debita distanza: a parti inverse si sarebbe parlato di attacco terrorista, invece è finita con i poliziotti in borghese a fare brutto per proteggere lo spezzone Pd (l’ex Pci scortato dalla digos a Milano il 25 aprile). E per non farsi mancare niente, produce il suo effetto anche la solita “contestazione” alla brigata ebraica, nello stesso angolo di piazza san Babila. Almeno un titolo per i giornali online.

Si dice sempre che domina il rosso. Vero, anche più del solito, e con sfumature diversissime. Di nuovo, per la grafica, ci sono le bandiere per “un’altra Europa”, i simpatizzanti della lista Tsipras. Ce la mettono tutta per il battesimo nella piazza che gli sta più a cuore e il colpo d’occhio è notevole, ma tutti sanno che non sarà una passeggiata. Ma tra le cinquanta sfumature di rosso ce n’è una che colpisce di più: le retrovie, mai come quest’anno, sono piene di bandiere comuniste. Vecchie, nuove. Declinate in tutte le salse. Qualche anno fa facevano parte del folklore, oggi si sono prese uno dei pezzi più vivaci del corteo. Cos’è? Non il solito spettro.

La scossa elettrica, come sempre, arriva dai camion che segnano il passaggio dei pezzi di “movimento”, sono loro a rompere la liturgia della celebrazione per gridare ciò che molti pensano: ce l’hanno con Renzi e nessuno ha da ridire. Per i giovinastri la festa non finisce qui, la sera si sono ritrovati in piazzale Cimitero Maggiore per continuare a suonarsela alla manifestazione “Partigiani in ogni quartiere” (a proposito, la Milano antifascista tornerà a farsi sentire in piazza Oberdan il 29 aprile per contestare la solita parata fascista in “onore” di Sergio Ramelli).